I MIEI SILENZI

A volte sono più assordanti delle parole e navigano tra i pensieri in cerca dell’approdo più sicuro. Silenzi che sono voci, nitide o confuse dai rumori di città. Si appartano e ti appartano creando una barriera con il mondo delle grida, delle parole altisonanti che nulla aggiungono e molto tolgono alla capacità di ciascuno di essere visibili.

Ci vuole coraggio e attenzione per ascoltare i silenzi, quasi una predisposizione innata, prenatale, che nasce dal nulla e con il nulla si amalgama per formare un intero, la dolce metà che cerchi quando le parole ti deludono e non ti appartengono più.

Si innalzano i silenzi nelle notti stellate, quando non riesci a dormire e fuori tutto si assopisce nel dormitorio, solito e tranquillo, che prelude ad un altro mattino. Di tanto in tanto si accendono le luci dalle finestre delle case, qualcuno sta male o ha solo voglia di guardare il cielo e immaginare che ci sia, oltre quel manto, la pace infinita.

Ci si abitua ai silenzi che quasi non senti più il suono della tua voce. A volte temi di aver smarrito l’uso della parola: vai in bagno, fai dei gargarismi per verificare che l’ugola sia ancora squillante, esercizio che ricorda quello dei cantanti prima di un’esibizione. Qualche goccia ti va di traverso, tossisci, diventi paonazzo ma sei ancora vivo e questo ti dà sollievo.

O forse no.

Anche le parole, quelle misurate, concise, ed essenziali, sono silenzi. Delicate risonanze che ricordano, ad esempio, la bellissima poesia di Salvatore QuasimodoEd è subito sera”:   

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

L’essenzialità della vita in questi tre versi:
solitudine
felicità e dolore
e quindi la morte.

Bello ascoltare i silenzi, raccontarli e viverli da soli o in buona compagnia nelle sere d’inverno davanti al camino a guardare il fuoco.

E immaginare, con gli occhi innocenti, che quella fiamma non si spegni mai …

HO SCRITTO UN CAPOLAVORO

Mamma, ho scritto un capolavoro. Leggi qua: c’è pathos, azione, suspense. I personaggi sono ben definiti e la trama tira che è una meraviglia. Sento di aver creato qualcosa di straordinario.”

Molte volte comincia così l’avventura di chi si cimenta nella scrittura e i primi proseliti sono proprio i familiari. Ma per una mamma, si sa, i figli so’ piezz’e core, e il giudizio che ne scaturisce non è mai obiettivo. Anzi, accade altrettanto frequentemente che le supposte qualità artistiche siano propinate proprio dai genitori.

Gli amanti della pellicola ricorderanno sicuramente uno dei capolavori del cinema italiano: quel “Bellissima” interpretato dalla indimenticabile Anna Magnani in cui la protagonista accompagna la figlioletta ad un provino cinematografico convinta che diventerà una stella. L’amara realtà le darà invece un responso di tutt'altro esito.

Talentuosi si nasce o si diventa? Antico dilemma che non pare sia stato risolto, come il dubbio amletico dell’essere o non essere che la Storia ha consegnato alle teorie più disparate e suggestive ma mai pienamente convincenti.

Al di là dei risvolti più o meno interessanti della questione, è un dato di fatto che oggi, più di ieri, la propensione a riconoscersi più meriti di quanto si hanno è una costante che si sta espandendo a macchia d’olio, un trend che la rete internet ha reso possibile grazie a palcoscenici virtuali facilmente accessibili e appropriabili. Ma, come nel film “Bellissima”, è una ribalta quasi sempre effimera ed illusoria.

Non c’è più selezione della qualità e tutto viene catapultato nella rete senza distinzione alcuna. Quello che emerge è una competizionesgomitante” e “sgomitata” a colpi di post, immagini accattivanti, recensioni costruite e messaggi subliminali.

Forse sto invecchiando ma ho nostalgia dell’editore di una volta, quello che leggeva, selezionava e sapeva investire sul talento. Non se ne trovano più perché ormai sono stati sommersi da questa campagna “fai da te”.

Mario ha pubblicato qualcosa in …
Evaristo ha pubblicato qualcosa in …
Gemma ha pubblicato qualcosa in …

Capolavori” ? Ai posteri la facile sentenza!

Si nasce con un capolavoro dentro di sé, lo si manca per averlo voluto.” (Max Jacob).


IL TEMPO PARALLELO

C’è chi passa metà della sua vita a cercare la felicità domandandosi nell'altra che cosa sia mancato per non averla trovata. Succede,  il più delle volte, per mancanza di sintonia relazionale tra le proprie aspettative e la risposta ai comportamenti attesi. Dovrebbe essere tutto più semplice e invece non lo è quando si vive in un tempo parallelo, diverso e sovrapposto a quello reale, tangibile e immanente ma fortemente deludente.

Si tende allora a virtualizzare ogni cosa sperando che tutto ciò che si è idealizzato possa, come per incanto,  materializzarsi e trasporsi nel tempo effettivo riempiendo quel vuoto emozionale che si è andato formando. Ma le persone non sono mai come le desideriamo sicché il rimpianto, misto a delusione, diventa la molla che fa scattare l’allontanamento e l’abbandono .

Il tempo parallelo non invecchia mai, alberga nell'anima di chi si fa scudo del suo divenire per affrontare le intemperie e le inquietudini in una sorta di sopravvivenza, necessaria e unica. E’ figlio del dolore che non si è superato nel tempo effettivo perché le ferite, quelle più profonde, non si rimarginano mai.

C’è un passaggio de “La prossima vita in cui Leo e sua moglie Cinzia, ciascuno deluso dall'altro, decidono di interrompere qualsiasi comunicazione tra loro salvo recuperarla, nel tempo effettivo, con la cosa più materiale e scontata:

Muti di giorno, la sera sembrava fatta apposta per dare sfogo al nostro linguaggio dei sensi e per ristabilire tra noi quell'equilibrio che la vita diurna pareva mettere in bilico. Insomma, cercavamo di recuperare attraverso il rapporto fisico il senso di appartenenza alle cose e alla realtà ed, alfine, alla nostra stessa esistenza.

Quella solitudine e quell'essere distanti, che di giorno ci faceva comportare come due stranieri inibiti nel linguaggio e nella comunicazione interpersonale, di notte si trasformava in una sorta di àncora di salvezza che ci restituiva, attraverso la congiunzione carnale, il senso di essere una coppia che viveva sotto lo stesso tetto e che, bene o male, doveva agire come tale, almeno fino a quando la vita che ci eravamo imposti non sarebbe cambiata.”

Nel tempo parallelo agisce il simbolismo, l’attesa e la speranza che tutto possa cambiare da un momento all'altro. E’ l’antitesi di quello che si dice comunemente: “La realtà supera l’immaginazione”, per indicare qualcosa di straordinario e di inaspettato.

Invece nulla accade rispetto alle proprie aspettative e il tempo vissuto è qualcosa d’incompiuto, un cronometro che segna le rughe e il decadimento fisico mentre dentro tutto resta intatto e inesplorato.

Come un bambino perennemente in attesa che la porta di casa si spalanchi per fare entrare il sole.

LA DOLCE MORTE

Dopo il successo di “Dimmi come mai”, ecco un giallo intrigante e ben confezionato dal duo Alessandra Alioto e Rosalba Repaci che appassiona e fa riflettere sulle vicende narrate in una casa di riposo di Genova. Qui la morte di un’assistita per un’ “overdose” di acqua bollente nella vasca da bagno in cui era immersa, fa gettare i sospetti sull'infermiera Angela, accusata di negligenza e sospesa dal servizio in attesa delle indagini del Maresciallo De Scalzi.

La morte, come fatto ineluttabile che accomuna gli ospiti di Villa Graziosa, diventa lo spunto per raccontare la loro condizione di vita nell'ultimo tratto che li separa dalla fine. Significativa è la descrizione della struttura divisa su tre piani: il piano terra destinato  agli uffici e servizi, il primo frequentato da ospiti ancora lucidi e autosufficienti, e il secondo dagli anziani colpiti da demenza senile. Una descrizione che ricorda il purgatorio dantesco, una piramide a scalare in cui la beatitudine sembra essere inversamente proporzionale alla consapevolezza del vivere e dell’essere ancorati, fino al momento del “trapasso”, ai patemi e alle sofferenze terrene.  

La ricerca del colpevole, che pure incuriosisce il lettore spingendolo a divorare le pagine del libro, quasi passa in secondo piano rispetto all'impronta psicologica che le autrici hanno saputo imprimere ai personaggi della storia, tutti ben descritti e radicati in un tessuto sociale molto aderente alla realtà.

Come la raffinata Evelina, ospite della struttura dotata di una dolcezza infinita, che ancora si commuove per le piccole cose e fa battere il cuore per il “coinquilino” Aldo, a sua volta impegnato a ricucire il rapporto con sua figlia, occasione di riscatto che la vita concede a tutti anche se si è all'ultimo percorso. O come Bruno, ospite brontolone ma dalla battuta sempre pronta, o la timida e insicura Iole, sua partner in tante memorabili partite a carte. E che dire del Maresciallo De Scalzi? Personaggio dinamico e brillante che si fa aiutare nelle indagini dal brigadiere Ippolito, accoppiata che ricorda, per certi versi, il duo Rocca-Cacciapuoti di una fortunata serie televisiva. E sullo sfondo ( ma non troppo), la storia d’amore tra Gilda, capo sala di Villa Graziosa, e Paolo, figlio della vittima, a suggellare la solidità delle emozioni semplici, quelle che nascono in punta di piedi e che durano per sempre.

Insomma ci sono tutti gli ingredienti per leggere tutto d’un fiato questo giallo accattivante in cui si snodano tante storie e dove anche la morte diventa dolce se … si fa attendere.

LA TRAMA: La tranquilla casa di riposo “Villa Graziosa” di Genova è messa in subbuglio dopo la morte di Franca, ospite della struttura trovata nella sua vasca da bagno con la temperatura dell’acqua a 50 gradi. Un incidente? Una disattenzione dell’infermiera Angela? Le indagini affidate al Maresciallo De Scalzi scopriranno un mondo sconosciuto ai più, ma pieno di vitalità e di cose ancora da raccontare per chi ha imboccato l’ultimo tratto della propria esistenza. Il tutto a dispetto della morte, dolce o amara che sia …

LE AUTRICI: Alessandra Alioto, di La Spezia, e Rosalba Repaci, di Genova, hanno debuttato con successo nel 2014 con il romanzo “Dimmi come mai”. Educatrice professionale, la prima, ed esperta nel sociale, la seconda, hanno rinnovato il loro sodalizio con “La dolce morte” perché formula vincente non si cambia. E c’è da giurarsi che sarà così anche stavolta.

UN PASSO DEL ROMANZO: “ … il Parco di Nervi si popolava sempre di bagnanti accaldati che dalla scogliera sottostante risalivano per godersi un po’ di verde frescura. Tardavano soltanto i più sensibili, gli amanti della luce del tramonto, di quel chiarore che si spegneva sulla linea d’orizzonte del mare, quando l’aria calda iniziava a stemperarsi, il sole a infuocarsi e i rumori a diventare ovattati. Entrando nell'acqua caldissima e limpida, si fermavano a guardare il mare infinito, godendosi il silenzio.”


GIUDIZIO: Cinque stelle per le brave autrici ligure. Tranne rarissimi casi, non si è mai scrittori per caso. Per fare un buon libro ci vuole competenza, attenzione nei particolari e pathos narrativo. Ingredienti che ci sono tutti ne “La dolce morte”. 

IL MIO PROSSIMO POST

Sarà luminoso come il sole del primo mattino, radioso come il sorriso spontaneo di chi ti guarda senza giudicarti, colorato come i fiori vivaci di una primavera che sovrasta ogni altra stagione per rimanere attaccata alle pareti dell’anima.

Se le parole potessero bastare per rubare pochi attimi di felicità ne scriverei a iosa in tutti i luoghi possibili: sui muri delle città, sui social preferiti, sul mio telefonino. Parole dolci e tranquille che farei viaggiare con la forza dell’immaginazione per farle approdare nel cuore di chi non ha potuto o voluto ascoltarle.

Sceglierei le buone parole, carezze che il corpo non sa esprimere e che sono diverse da quelle belle ma vuote, pompose e apparenti. Le buone parole riscaldano l’anima, acquietano, confortano e trasmettono energia positiva.

Molto spesso, e di questi tempi soprattutto, imperversano parole dure, urlate, ingannevoli, che disorientano e non fanno ragionare. Parole cattive e gratuite che hanno la capacità di sostituire quelle non dette, quelle tanto attese e sottaciute perché si è preferito non guardarsi dentro lasciandosi scappare … l’attimo fuggente.

Carpe diem! Cogli il giorno!

Bisognerebbe riempire gli spazi che ci dividono con le buone parole, ripristinare la comunicazione interrotta da troppo tempo. Un black-out causato proprio dalla tecnologia sofisticata dell’informazione che molto toglie e nulla aggiunge alla cultura del sapere, alla crescita delle coscienze.

Tanto nelle relazioni personali quanto in quelle collettive manca spesso lo spirito costruttivo che dovrebbe guidare la buona conversazione, il piacere dello stare insieme come se ci si trovasse davanti ad uno specchio in cui ciascuno proietta nell'altro l’immagine buona di se stesso.

Carpe diem! Cogli il giorno!

Non ritardare un abbraccio che domani potrebbe non avere più lo stesso calore.

Ecco che allora il mio prossimo post sarà luminoso come il sole del primo mattino, radioso come il sorriso spontaneo di chi ti guarda senza giudicarti, colorato come i fiori vivaci di una primavera che sovrasta ogni altra stagione per rimanere attaccata alle pareti dell’anima.

Per sempre.


NON APRIRE QUELLA FINESTRA!

Avevo deciso di accoglierla in casa prima ancora che me lo domandasse. Così piccola e indifesa, era riuscita ad aprirmi il cuore come si fa con il lucchetto di un diario segreto in cui i pensieri, ben saldi e impressi sulle pagine, prendono a sprigionarsi nell'aria liberandosi di ogni remora.

Da quel giorno la mia vita ebbe finalmente uno scopo. Mi presi cura di lei come mai nessuno aveva fatto con me. Bella e delicata, la sentivo vicino anche quando dovevo allontanarmi da casa per andare al lavoro, sbrigare le solite faccende quotidiane, affrontare le ire del mio odioso capoufficio, percorrere chilometri e chilometri di asfalto mettendo a dura prova la mia impazienza per l’ennesimo semaforo rosso o per l’imbecille di turno che mi tagliava la strada.

Ma tutto questo era niente perché sapevo che c’era qualcuno che mi aspettava e che avrebbe raccolto i miei sfoghi con umana comprensione e affetto filiale. Lei mi sorrideva e mi accarezzava tutte le volte che aprivo la porta di casa e mi accasciavo esausto sul divano.

Mi allentavo la cravatta e iniziavo a parlare come un fiume in piena che trasborda gli argini senza incontrare più alcuna resistenza. Lei mi ascoltava in silenzio e mi alitava con il suo respiro fino ad inondarmi di calore e di pura energia.

Finiva sempre allo stesso modo: mi faceva l’amore con quella dolcezza che soltanto lei sapeva trovare e infondermi su tutto il mio corpo come la più consumata delle amanti. Poi mi sfiorava le palpebre ed io mi addormentavo sereno senza sentire più alcun dolore.

Ero felice come non lo ero mai stato prima di incontrarla.

La mattina mi svegliavo di buon grado e qualche volta mi permettevo persino di sorridere. Sotto la doccia mi capitava di intonare la mia canzone preferita e lei faceva altrettanto dalla cucina improvvisando un concerto a due voci che aleggiava nell’aria come un giorno di festa.

Poi avvenne quello che avrei dovuto temere e che invece avevo trascurato per la  mia ubriacante allegria.

Premetto che sono sempre stato attento ad aprire e chiudere le finestre per il tempo strettamente necessario al ricambio d’aria della casa. Soprattutto mi premunivo di farlo ad una certa ora lontano da occhi indiscreti e al riparo da cattive sorprese.

Quella sera avevo avuto la brillante idea di cucinare una bistecca ai ferri. Io, vegetariano da qualche mese, sono stato sopraffatto dai sapori della carne, una debolezza che mi è costata cara.

Lei mi girava intorno lasciandomi fare in quelle semplici operazioni culinarie senza proferire parola. Un silenzio che avrebbe dovuto insospettirmi se solo fossi stato più attento e prudente.

D’improvviso la bistecca ha preso fuoco e una nuvola di fumo si è propagata davanti a me annebbiandomi la vista. Ho aperto d’istinto la finestra e in un secondo si è consumato il dramma.

E’ stato in quel momento che l’ho vista passare sotto i miei occhi come un aereo che sfreccia nel cielo perdendosi nell'oscurità della notte.

La mia dolce capinera era volata via e non sarebbe più ritornata.

NON APRIRE QUELLA FINESTRA!

Racconto breve 
di

Vittoriano Borrelli

IL LATO OSCURO

Ognuno di noi ha un lato oscuro che si annida in qualche parte nascosta della propria anima. A volte invisibile, a volte no, ma quando si manifesta è preponderante, dominante, incalzante come la pressione sanguigna che trasforma le percezioni e tutto diventa rigenerativo o degenerativo.

Non si è mai buoni o cattivi fino in fondo, e del resto l’uno non c’è se non esiste l’altro. Sono connotazioni dell’essere contrapposte ma in un certo senso complementari tra loro, una sorta di dipendenza giustificativa del proprio rivelarsi in luogo dell’altra.

L'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.” Lo scriveva Robert Louis Stevenson nella sua opera più celebre Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, pubblicata nel 1886 con un successo senza precedenti nella storia della letteratura horror. Metaforica rappresentazione della doppia personalità che si manifesta o regredisce attraverso la pozione imbevuta dal protagonista per soppiantare la parte peggiore di sé.

Sulla scia di una corrente letteraria che predilige l’analisi (e la retro-analisi)  dell’animo umano ambiguo e distruttivo, l’opera di Stevenson anticipa il tema dello sdoppiamento che qualche anno più tardi (1890) il suo coevo Oscar Wilde riproporrà ne “Il ritratto di Dorian Gray”. Anche qui il patto con il diavolo suggellato dal protagonista farà emergere il lato oscuro della perdizione e dei facili costumi, l’eterna giovinezza in cambio dell’anima che Dorian vedrà imbruttirsi attraverso la deturpazione del suo ritratto.

Al di là dei corsi e ricorsi della letteratura, il lato oscuro è una costante che si rivela in tutte le forme possibili e in ogni tempo, passato, presente o futuro. In antropologia criminale sono note le due teorie contrapposte che assegnano ora alla componente genetica ora a quella ambientale l’origine del Male. Ma v’è anche una terza spiegazione che combina entrambi i fattori ed è forse la più plausibile.

Posto che ciascuno di noi è naturalmente predisposto al Bene o al Male, sono le componenti ambientali date dall'educazione ricevuta, dagli incontri e dalle relazioni che si allacciano ad orientare le scelte di vita facendo emergere la parte migliore o peggiore di se stessi.

Insomma, la naturale inclinazione ad assumere comportamenti positivi in luogo di quelli negativi (e viceversa) è più o meno marcata a seconda di ciò che ha rappresentato il proprio vissuto. E del resto non si può comprendere a fondo il benessere interiore e la beatitudine dei sensi se non si è provato dolore, ansia, sofferenza, sicché il lato oscuro emerge proprio dalle ferite che non si sono rimarginate.

Quelle ferite che non si vedono ma che fanno più male.


ABBI CURA DI TE

Abbi cura di te. Se la vita ti è stata ostile, non permettere che ti faccia più del male.” Gioacchino era in bagno a farsi la barba quando, d’improvviso, sentì una voce pronunciare queste parole. Chiuse il rubinetto per interrompere lo scroscio dell’acqua e tese le orecchie per capire da dove provenisse.

Niente! C’era un silenzio tombale. Sua moglie Morena era al lavoro e fuori la città sembrava deserta, nemmeno uno straccio di persona si aggirava nel parco di casa e la strada che fiancheggiava quei palazzoni del condominio era solo un manto grigio inesplorato.

Allora si convinse che quelle parole le avesse pronunciate lui inconsciamente, come gli capitava da un paio di mesi dopo aver perso il lavoro di dirigente in un’azienda ed essersi trovato con tanto tempo a disposizione per pensare. 

Abbi cura di te. Non lasciare che siano gli altri a decidere per te.”

Di nuovo quella voce. Gutturale, lamentosa, come un medium che dall'aldilà lanciava proclami inquietanti sulla vita del povero Gioacchino.

Si ricordò del decisionismo di Morena, una donna di ferro che aveva sposato per volere di sua madre, fortemente preoccupata del suo essere fragile e indifeso.

“Ora che sei senza lavoro ascolta bene quello che devi fare.”
“Sì.”
“Non mandare curriculum a destra e a manca. Nessuno ti prenderebbe mai. Sei troppo precisino, metodico, conservatore. La gente ha bisogno di brio, estro e improvvisazione. Quello che mi hai fatto leggere mette ansia e agitazione. Troppo formale e scontato, da cestinare solo leggendo le prime righe.”
“Sì.”
“Vai da Ignazio. E’ un mio caro amico. Ha un’impresa farmaceutica e sta cercando un rappresentante per promuovere un nuovo antidepressivo. Ma non presentarti con quella faccia che faresti venire l’ulcera solo a vederti.”
“Sì.”
“Fatti la barba, metti la crema per il viso per far sparire quelle zampe di gallina che ti sono spuntate.”
“Sì.”
“E poi il dentifricio. Ti ho comprato quello che fa smacchiare i denti rendendoli luminosi e brillanti. Sorridi. Inizia con questo esercizio: allarga e fai rilasciare le mascelle per venti volte di seguito. Ricorda: venti volte al mattino e venti volte alla sera prima di coricarti.”
“Sì.”
“Ignazio ti aspetta giovedì nel suo ufficio di via Colonna. Abbiamo ancora quattro giorni di tempo. Certo, a guardarti ci vorrebbe un miracolo. Ma ce la faremo. Ce la farai.”
“Sì.”
“Ora ascolta quello che devi dire. Ti presenti con un bel sorriso, ti dai un tono spuntando un bottone della giacca per tenere bene in vista il fermacravatte d’oro che ti ho regalato. Poi lo saluti con queste parole: ‘Buon giorno dott. Morosini, sono il marito di Morena e sono qui per quel posto. Non ho problemi a viaggiare, mi piace guidare, sono dinamico e intraprendente. Ho già fatto il rappresentante e so come convincere la gente.’ Soprattutto sorridi. E tanto.”
“Sì.”
“Devo andare adesso, sono maledettamente in ritardo. Hai caricato la lavatrice?”
“Sì.”
“ E il pane? L’hai tirato fuori dal freezer?”
“Sì.”
“Stasera mangiamo leggeri. Prepara un brodo vegetale con 100 grammi di pasta, una fetta di formaggio con un ciuffo d’insalata e un po’ di frutta.”
“Sì.”
“Ora devo proprio scappare. No, non baciarmi che mi rovini il trucco. E ricorda: fatti la barba e mettiti la crema.”
“Sì.”

Gioacchino uscì dal bagno tutto lindo e profumato. Andò in camera da letto, prese dall'armadio i suoi vestiti e li depose nella valigia. Chiamò il taxi che lo avrebbe portato all'aeroporto, si assicurò di avere il biglietto in tasca e uscì di casa.

Sul tavolo della cucina c’era un foglietto con queste parole: “Avrò cura di me.”


ABBI CURA DI TE

Racconto breve scritto da
Vittoriano Borrelli



(I riferimenti alla realtà sono puramente casuali)