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A
volte sono più assordanti delle parole e navigano tra i pensieri in
cerca dell’approdo più sicuro. Silenzi che sono voci, nitide o confuse
dai rumori di città. Si appartano e ti appartano creando una barriera con il
mondo delle grida, delle parole altisonanti che nulla aggiungono e molto
tolgono alla capacità di ciascuno di essere visibili.
Ci
vuole coraggio e attenzione per ascoltare i silenzi, quasi una predisposizione
innata, prenatale, che nasce dal nulla e con il nulla si amalgama per
formare un intero, la dolce metà che cerchi quando le parole ti deludono
e non ti appartengono più.
Si
innalzano i silenzi nelle notti stellate, quando non riesci a dormire e
fuori tutto si assopisce nel dormitorio, solito e tranquillo, che prelude
ad un altro mattino. Di tanto in tanto si accendono le luci dalle finestre
delle case, qualcuno sta male o ha solo voglia di guardare il cielo e
immaginare che ci sia, oltre quel manto, la pace infinita.
Ci
si abitua ai silenzi che quasi non senti più il suono della tua voce.
A volte temi di aver smarrito l’uso della parola: vai in bagno, fai dei gargarismi
per verificare che l’ugola sia ancora squillante, esercizio che ricorda quello
dei cantanti prima di un’esibizione. Qualche goccia ti va di traverso, tossisci,
diventi paonazzo ma sei ancora vivo e questo ti dà sollievo.
O
forse no.
Anche
le parole, quelle misurate, concise, ed essenziali, sono silenzi.
Delicate risonanze che ricordano, ad esempio, la bellissima poesia di
Salvatore Quasimodo “Ed è subito sera”:
Ognuno sta solo
sul cuor della terra
trafitto da un
raggio di sole:
ed è subito sera.
L’essenzialità
della vita in questi tre versi:
solitudine
felicità
e dolore
e
quindi la morte.
Bello ascoltare i silenzi, raccontarli e viverli da soli o in buona compagnia nelle sere d’inverno davanti al camino a guardare il fuoco.
E immaginare, con gli occhi innocenti, che quella fiamma non si spegni mai …
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