STEFANO MANCINI, INVIATO MOLTO SPECIALE …

Giornalista con licenza di … scrivere libri, Stefano Mancini è un autore molto promettente che ha sviluppato nel corso della sua giovane carriera di scrittore una particolare propensione per la letteratura fantastica.

E’ un genere, -come lui stesso commenta-, che gli permette di spaziare nei mondi infiniti della fantasia, che poi non sono mai così contrapposti alla realtà. Tra l’immaginazione e la concretezza del vivere quotidiano vi è sempre un anello che li ricongiunge e li accomuna in quello che è semplicemente un modo di essere e di “raccontare” la vita.

Classe 1980, Stefano Mancini è nato a Roma, dove vive tuttora. Nel 2004 si laurea in giornalismo iscrivendosi all'Ordine l’anno dopo. Ma la sua passione per la scrittura esplode, dirompente, subito dopo gli studi pubblicando nel 2005 “Il labirinto degli inganni” e nel 2010 “La spada dell’elfo”.

Le paludi d’Athakah” è il suo terzo romanzo che ha ottenuto già molti consensi tra i lettori.

Lo incontro sulla via “internauticaComo - Roma e subito si racconta con una cronaca di se stesso senza mezzi termini, come un inviato molto speciale


IO: Sei un giornalista con la passione per la scrittura. Entrambe queste attività hanno in comune la narrazione dei fatti. Quali sono, secondo te, le differenze?

STEFANO MANCINI: Ciao Vittoriano, intanto grazie per lo spazio e la disponibilità. Ti rispondo subito dicendoti che le differenze ci sono, ma non ampie come qualcuno può pensare. Di sicuro la mia attività di giornalista ha molto più a che fare con la narrazione dei fatti “nudi e crudi”, il più possibile asettici. Il mio “hobby” di scrittore, invece, mi permette di spaziare e di parlare di quello che piace davvero a me, e non di quello che succede nel mondo quotidianamente, oltre a poter dare la mia interpretazione di quello che succede. Per il resto, però, si tratta di scrivere, che è anche la cosa che amo di più.

IO:Le paludi d’Athakah” è il tuo terzo romanzo del genere “fantasy”. Com’è nata questa passione?

STEFANO MANCINI: Molto spontaneamente. Ricordo che mi è sempre piaciuto scrivere e inventare storie, fin da piccolo. E quando ho cominciato a fare sul serio, se così vogliamo dire, ho trovato che l’ambientazione fantasy, con i suoi mondi infiniti e con i limiti imposti solo dalla fantasia (e dal buonsenso dettato comunque dalla credibilità di fatti, situazioni e interpreti), era il terreno fertile in cui avrei potuto coltivare questa passione.

IO: Il protagonista del romanzo, “Re Aurelien Lathlanduryl,” è tormentato dalla responsabilità che gli deriva dal potere. Ingaggia una lotta sanguinosa per difendere i propri sogni di gloria. E’ l’eroe buono della storia?

STEFANO MANCINI: Di sicuro è l’eroe. Come lo sono tanti altri. Mi piace pensare al mio libro come a un affresco in cui si muovono diversi protagonisti, non per niente il romanzo copre un arco di oltre 500 anni, con personaggi che, date le loro caratteristiche, possono attraversare un lasso di tempo così ampio. Lui è tra quelli cui mi sono affezionato di più, perché incarna sia l’eroe indomito e coraggioso, che fa di tutto per coronare i suoi sogni, sia l’eroe tormentato che deve fare i conti con le difficoltà dovute dal potere e dal peso della corona di quello che, per sua stessa definizione è: “Il più potente impero mai esistito”. Il suo “essere eroe” non è né bianco, né nero, è fatto di tante sfumature di grigio. Mi piace rendere i miei personaggi il più complessi possibile, dargli varie sfaccettature e renderli credibili come lo sono le persone reali.

IO: Il racconto fantastico è spesso la trasposizione nell'immaginario di fatti o situazioni reali. La lotta al potere, la sopraffazione e la difesa di ideali che racconti nel tuo libro, si possono riscontrare, sia pure sotto forma diversa, nella nostra vita di tutti i giorni. C’è un messaggio in particolare che hai voluto dare con il romanzo?

STEFANO MANCINI: Diciamo che ci ho provato. Saranno poi i lettori a dire con quali esiti. Di certo ho provato a mettere nel mio romanzo non solo personaggi credibili, ma anche situazioni credibili. La lotta fratricida tra elfi e nani che si sviluppa nel romanzo da una posizione di partenza che invece è l’opposto, è lo specchio di quell’Io che spinge ogni essere umano, purtroppo, al conflitto e alla guerra. E le motivazioni dietro lo scontro tra elfi e nani sono ben più complesse di quello che potrebbe sembrare; complesse come lo sono quelle che generano i conflitti nel nostro mondo: è questa la spinta che ho provato a raccontare. Perché magari, in piccolissima parte, capire perché elfi e nani si uccidono in un mondo inesistente, può aiutare a capire perché succede altrettanto e così spesso nel nostro mondo.


IO:Il labirinto degli inganni” è stato il tuo romanzo d’esordio (2005) seguito da “La spada dell’elfo” (2010). Parlaci un po’ di queste opere.

STEFANO MANCINI: Sono entrambe opere alle quali sono molto legato, come è ovvio che sia. Mentre però “Il labirinto degli inganni” lo considero a tutti gli effetti un’opera prima, che risente di tanti difetti, “La spada dell’elfo” lo ritengo un romanzo molto più maturo. Purtroppo, per motivi diversi, sono anche due libri che hanno avuto parecchie sfortune editoriali, il che mi fa apprezzare ancora di più il successo che sta riscontrando “Le paludi d’Athakah”. Quello che posso dire è che sono comunque stati fondamentali per la mia crescita di scrittore, anche e soprattutto grazie ai commenti e alle indicazioni dei lettori.

IO: Perché, secondo te, si è più interessati al mondo dell’immaginario che a quello reale? C’è davvero bisogno di sognare per affrontare la realtà o è semplicemente un momento di evasione?

STEFANO MANCINI: Io credo che si sia legati al mondo dell’immaginario, come lo si è a qualunque forma d’arte. La riscoperta del fantasy di questi ultimi anni, a mio avviso, non è il sintomo che le persone vogliono fuggire alle “brutture” del nostro mondo, ma semplicemente, come sottolineavi anche tu, un modo per evadere, per prendersi qualche momento di distensione dalle difficoltà di tutti i giorni. Come dico spesso durante le mie presentazioni, “Le paludi d’Athakah” non è un capolavoro che cambierà la storia della letteratura; ma è comunque un buon romanzo, con un ritmo serrato, scorrevole e con personaggi interessanti. L’ideale proprio per chi vuole passare qualche “ora d’evasione” e poi tornare con i piedi nel nostro mondo. Che per inciso ritengo non sia né peggiore, né migliore di quello che ho inventato. Solo diverso.

IO: Ti sei ispirato a qualche autore o le tue opere sono frutto di una tua personale inclinazione e stile?

STEFANO MANCINI: Se dicessi che è tutta farina del mio sacco mentirei. Mi sono ispirato, come credo ogni altro autore, a chi mi ha preceduto. E in tanti hanno questo merito. Di sicuro nell'ambientazione molta importanza hanno avuto le opere del Maestro Tolkien, non lo nego. Gli elfi e i nani protagonisti del mio romanzo hanno tratti fisici, sociali e caratteriali simili a quelli di Tolkien. Ma le similitudini finiscono qui. Nello stile, infatti, credo di aver impresso il mio tratto distintivo. Ho cercato (e i commenti dei lettori me lo hanno confermato) di dare ampio spazio al dialogo, di ridurre al minimo le descrizioni, per puntare sull'azione. E dare così maggiore spessore ai personaggi, anche quelli che (sembrano) secondari. Ne esce fuori, mi sento di dire, un romanzo vibrante, scorrevole, che si legge piacevolmente, con personaggi che non lasceranno delusi i lettori.

IO: Ammettiamo che sei in televisione e ti viene data la possibilità di pubblicizzare le tue opere. Cosa diresti ai lettori per convincerli ad acquistarle?

STEFANO MANCINI: Quello che ho detto finora. Gli direi che se vogliono acquistare e leggere il libro che cambierà loro la vita, allora “Le paludi d’Athakah” non è il libro giusto. Ma se invece vogliono un romanzo avvincente, fluido, con personaggi credibili, che gli permetta di passare qualche ora spensierata e piacevole su un altro mondo, allora mi sento di garantirgli che non resteranno delusi. Un paragone che faccio spesso è che leggere è come andare al cinema: puoi scegliere di vedere un capolavoro immortale, sapendo che avrà certi temi e contenuti, ma anche che ne esce uno ogni dieci-venti anni; oppure puoi scegliere di goderti un paio d’ore spensierate, al termine delle quali, anche se la tua vita non sarà cambiata, uscirai comunque dal cinema soddisfatto, con l’idea di aver investito bene il tuo tempo e di essere almeno un po’ più arricchito. Con le dovute proporzioni il mio libro rientra in questa seconda categoria.

IO: Hai pubblicato con la casa editrice “Linee infinite” che ha come obiettivo di fondo “la progettualità editoriale partecipativa”. E’ una sorta di cooperativa di editori/autori?

STEFANO MANCINI: Guarda, saranno le mie esperienze passate, ma io posso solo parlare bene della Linee Infinite, una casa editrice messa in piedi da appassionati che fanno tutto questo per hobby, coccolando e coltivando i loro autori, il tutto senza chiedere un soldo in cambio, elemento che chi “bazzica” almeno un po’ il mondo editoriale sa quanto sia raro. La cooperazione tra autori ed editore c’è, ma è una cooperazione costruttiva, che non riguarda l’aspetto economico, bensì quello dell’impegno. Del resto, se un editore punta su un autore e la sua opera, credo sia corretto che lo scrittore faccia la sua parte, impegnandosi a partecipare agli eventi, promuovendo laddove possibile il suo libro e comportandosi con correttezza verso chi ha deciso di puntare su di lui. Alla Linee Infinite non c’è un rapporto autore-editore di stampo rigido e classico, ma è qualcosa di molto più amichevole e informale e, ci tengo a precisarlo, gran parte del merito è di Simone Draghetti, il responsabile editoriale, un vulcano di idee e di energie, ma soprattutto un amico.

IO: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

STEFANO MANCINI: Posso confessare che, pur essendo “Le paludi d’Athakah” un’opera conclusiva, ho da poco consegnato al mio editor il suo seguito. Non era nelle mie intenzioni iniziali scriverlo, ma è successo qualcosa che non mi aspettavo (e che uno scrittore si augura sempre): i commenti dei lettori sono stati così entusiasti che mi hanno spinto a scriverlo; chiunque l’ha letto mi ha detto che ne voleva sapere di più, voleva sapere come la vicenda si poteva sviluppare nel corso del tempo e soprattutto voleva sapere che cosa ne sarebbe stato dei vari protagonisti. Per questo mi sono messo al lavoro, perché credo che un autore debba rispondere prima che al mercato, ai suoi lettori. Ora aspettiamo e incrociamo le dita, sperando che questo seguito raccolga l’approvazione dapprima della casa editrice e in seguito dei lettori, proprio come avvenuto per “Le paludi d’Athakah”.

IO: Dove si possono trovare le tue opere?

STEFANO MANCINI: Le paludi d’Athakah” può essere ordinato in ogni libreria semplicemente con il mio nome e il titolo, oppure tramite la stessa casa editrice (all'indirizzo lineeinfinite.net). Si trova poi nei vari circuiti online (come ibs.it e in Mondadori). Ma ultimamente la Linee Infinite sta facendo degli sforzi ben ricompensati: diverse librerie lo hanno tra i loro scaffali. Ai lettori dico solo: cercatelo oppure ordinatelo, ne vale la pena.

IO: Grazie per l’intervista. In bocca al lupo per entrambe le tue attività.


STEFANO MANCINI: Grazie a te per lo spazio e la disponibilità. E crepi il lupo.

TI PORTO AL MARE

Ti porto al mare”. Guardai la piccola Giada che di rimando prese a fissarmi con gli occhi lucidi e tranquilli. Era la sua maniera di sorridermi e di approvare questa proposta senza aggiungere altro, perché nulla avrebbe potuto dire con la sua vocina sottile e delicata, ridotta, da un anno a questa parte, a poco più di un lamento.

Proprio un anno fa, io e mia moglie Vera scoprimmo che la nostra unica figliola era stata colpita dalla sindrome di Phelan Mcdermid, malattia genetica che provoca l’arresto dello sviluppo motorio e intellettivo.

Com'è possibile? Giada ha solo tre anni. Come faremo? Ci sarà una cura?” Domande che rivolgemmo al nostro medico senza ricevere alcuna risposta che ci rassicurasse.
Ci cascò il mondo addosso in un secondo. E da lì iniziò il nostro calvario …

Giada ama molto il mare. Fin dai primi mesi di vita se ne stava accoccolata tra le mie braccia a guardare le onde infrangersi sugli scogli. Ogni tanto batteva i piedini sulle mie gambe come se avesse voluto partecipare con tutte le proprie forze a quel movimento rituale e naturale delle acque. Quasi sembrava rapita dalle atmosfere di quel paesaggio marino tumultuoso e coinvolgente. Sentivo che era felice ed io lo ero insieme a lei.

Anche quest’anno la TV ha mandato in onda Telethon, la lunga maratona dedicata alla raccolta fondi per la lotta contro le malattie genetiche. I vari conduttori si sono succeduti tra un programma e l’altro in una sorta di staffetta della solidarietà, come nelle migliori competizioni olimpioniche in cui l’unico traguardo che conta è ... vincere per gli altri.

Si sono udite storie tristi e toccanti, ma tutte accomunate dalla dignità del dolore e dalla speranza che la ricerca scientifica possa definitivamente sconfiggere queste terribili patologie.

La dignità del dolore! Come è accaduto per la mia storia...

Oggi Giada ha fatto progressi enormi; usa le manine e comunica con lo sguardo, che è l’unico modo per farsi capire e per trasmetterci le sue emozioni.

Sono con lei sulla spiaggia. Non batte più i piedini sulle mie gambe, ma so che è serena come lo sono io. Perché guardando il mare si scoprono sempre nuovi orizzonti, nuovi modi di amare.
Oltre ogni cosa e umano divenire …

TI PORTO AL MARE

Racconto breve di Vittoriano Borrelli
(Liberamente tratto dalle storie di Telethon)


IL NATALE QUANDO ARRIVA ARRIVA

Anche questo Natale, ormai alle porte, si appresta ad essere celebrato con festoni e luci colorate. Come una donna procace, dal trucco acceso e accattivante, dispensa sorrisi e ubriaca allegria dando spazio alla forma, più che al contenuto, del nostro sereno sentire.

Al bando il significato religioso della festa, atavico messaggio che riemerge in superficie grazie alla proposizione o riedizione di films o documentari sul tema della natività, il Natale di oggi, che somiglia molto a quello di ieri, è il rito dello stordimento, in cui le angosce e i problemi di tutti i giorni vengono “miracolosamente” accantonati in un cassetto per essere tirati fuori ai primi bagliori del nuovo anno.

In “Natale in casa Cupiello”, capolavoro del grande Eduardo, c’è una scena in cui il protagonista, Lucariello, consiglia al fratello Pasquale, alle prese con l’ennesimo litigio con il nipote Tommasino,  di rimandare ogni cosa a dopo il Natale: “Pasca’, fammi la carità dopo Natale trovati una camera mobiliata ….. e te ne vai”

Dopo Natale. Non prima, né tanto meno durante, perché a piangere dei propri guai …c’è sempre tempo!

E allora perché non tuffarsi nell'intrattenimento più puro ed effimero, come l’ultimo cinepanettone di Neri ParentiColpi di fortuna”, in uscita il prossimo 19 dicembre?

Il titolo è tutto un programma e pare particolarmente azzeccato in questi tempi di assoluta incertezza per il futuro, in cui il richiamo alla dea bendata è quanto meno propiziatorio per risolvere l’irrisolvibile, ancorarsi per due ore davanti al maxi-schermo facendo finta che il domani sia migliore.

Il cinema, come tutte le altre espressioni dell’arte e della cultura, non è altro che lo specchio della nostra società. Ai tempi del neorealismo andavano di moda film come “Roma città aperta” dell’immensa Anna Magnani o come “La strada” di un “certoFederico Fellini. C’era un’Italia da ricostruire dalle macerie della guerra ed era molto più facile identificarsi nella “concretezza” dei sogni e degli ideali.

Oggi, che pure ci sarebbe tanto da ricostruire, mancano del tutto i sogni e l’immaginazione è piuttosto indotta da una realtà artefatta, contro la quale è molto meglio “distrarsi” e “non pensare”.

Allora ci pensano i cinepanettone a fare da cornice al vuoto che c’è intorno, a regalarci qualche risata, magari con Christian De Sica che nel citato “Colpi di fortuna”, interpreta un imprenditore superstizioso che si affida ad un porta iella (Francesco Mandelli) per risolvere un affare con i mongoli.

Gli ingredienti ci sono tutti per ridere quanto basta e per accogliere il Natale, che quando arriva … arriva.

Bisogna semplicemente essere pronti a non sfigurare, perché a togliersi il "trucco" si fa ...quando la festa è finita!


CARO FRATELLO

Caro fratello               
ti ho immaginato da sempre
e da sempre ti ho aspettato inutilmente
Chissà chi è stato colui
che ci ha legati nel suo regno
noi così diversi eppure uniti nello stesso segno

Caro fratello
perché mi rispondi col silenzio?
Lo sai che da tempo non riesco a dirti quello che sento?

Chissà chi è stato colui
che si è dimenticato di noi
noi così perversi eppure non siamo mai gli stessi

E mentre ti canto
sento sempre più vicino il tuo pianto
il tuo dolore che abbiamo provato con lo stesso tramonto

Caro fratello
non voglio più darti retta
troppo spesso ricordo la tua indifferenza
Chissà chi è stato colui
che ci ha voluti e posseduti
noi così indecenti eppure così belli e intelligenti

E mentre ti scrivo
giusto per sentirmi ancora vivo
giusto per provare a me stesso che sei un amico

la tua voce si confonde lentamente con le altre
ed io faccio fatica a riconoscere le tue tracce
Chissà chi è stato colui
che ha sepolto i nostri corpi
in  una terra fredda
con un cielo senza nemmeno una stella

E mentre ti cerco
scende silenziosamente la sera
ed io capisco che non basterà una vita intera

Caro fratello
anche tu sei stufo e non piangi più
anche tu ti sei arreso a questo inutile ritrovarsi
Chissà chi è stato colui
che ci ha lasciati qui nell'ombra
ormai è notte fonda e il mare
non ha più neanche un'onda

(V. Borrelli, dall'album: "Tristezza" 1982)



A TALE QUALE SHOW I CONTI TORNANO

E’ senza dubbio il programma televisivo dell’anno. “Tale quale show”, ha letteralmente sbaragliato la concorrenza con punte di oltre sette milioni di spettatori ed uno share che si è assestato, in media, sul 33%. Tradotto in cifre: davanti al piccolo schermo, un telespettatore su tre si è sintonizzato sul primo canale della RAI. Per gli organizzatori del format conti tornano.

Gran merito del successo del programma va riconosciuto ai protagonisti dello show, primo fra tutti al conduttore Carlo Conti (vero erede di Pippo Baudo), che ha saputo tenere i ritmi dello spettacolo rendendolo fluido, interessante e divertente nonostante la formula fosse già collaudata e mutuata da altri programmi similari (Chi non ricorda “Re per una notte”, condotto dal compianto Gigi Sabani?).

La giuria chiamata ad esprimersi sulle varie imitazioni, ha potuto contare sull'apporto di tre bravissimi personaggi dello spettacolo: in primis, Loretta Goggi, le cui valutazioni sono state le più “tecniche” grazie alla sua straordinaria esperienza di imitatrice. Christian De Sica, attore brillante fra i più amati dal pubblico, e Claudio Lippi, presentatore di tanti programmi televisivi, hanno svolto l’inconsueto ruolo di giurati con la vena comica e brillante che li ha da sempre contraddistinti.

Ma il “sale” del programma, ovvero, le imitazioni dei cantanti famosi, è stato quello più azzeccato e riuscito. Personaggi come Amadeus e Fabrizio Frizzi, o come le “rediviveSilvia Salemi e Fiordaliso, si sono cimentati in imitazioni divertenti, alcune molto riuscite, mettendo in mostra qualità sconosciute ai più, ma nel complesso molto apprezzate dal pubblico.

Tra i partecipanti, una menzione particolare va sicuramente data ad Attilio Fontana, ex del gruppo “Ragazzi italiani” (molto in voga negli anni '90), che ha sfoderato qualità canore sorprendenti, al punto da chiedersi come mai la sua carriera artistica non abbia trovato “un posto al sole” nel deserto dell’attuale panorama musicale italiano.

Bravo anche l’attore Kaspar Capparoni, che ha offerto una performance di qualità nonostante la sua prematura uscita dal programma per impegni professionali già assunti.

Si dice che quando un programma ha successo il merito sia di tutta la squadra. E’ una regola che vale ancora di più per lo show di Conti in cui accanto ai personaggi sopra menzionati, si devono aggiungere quelli meno “visibili”, ovvero i coach dei partecipanti fra i quali la bravissima imitatrice Emanuela Aureli, che ha saputo dare ai concorrenti le giuste cognizioni tecniche per presentare al meglio le loro esibizioni.

E per finire, Gabriele Cirilli, che con le sue “missioni impossibili” ha dato colore e vivacità alla trasmissione regalando momenti esilaranti e di sano umorismo.

"Il pubblico ha saputo apprezzare l'artigianalità del prodotto", ha commentato Carlo Conti che poi ha aggiunto: "Si è visto l'impegno di tutti, anche di quelli che hanno operato dietro le quinte."

Insomma, un programma godibile e ben riuscito che riscatta la rete ammiraglia nazionale da un periodo in sordina rispetto alle altre proposte della concorrenza.

Concludo con la mia personale classifica delle imitazioni più riuscite. I lettori possono cliccare sul nome dell’imitatore per guardare il video.


  1. Attilio Fontana che imita Lucio Battisti (quasi meglio dell’originale);
  2. Kaspar Capparoni che imita David Bowie (geniale);
  3. Clizia Fornasier che imita Kate Bush (tale quale);
  4. Silvia Salemi che imita Fiorella Mannoia (ad occhi chiusi, la stessa interprete);
  5. Fiordaliso che imita Aretha Franklin (brava nel "corpo" e nell'anima);
  6. Amadeus che imita Sandy Marton (divertentissimo);
  7. Fabrizio Frizzi che imita Tony Dallara (la sua migliore performance).

P. GIORDANO: LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

Uscito nel 2008 con diverse ristampe successive, il romanzo d’esordio di Paolo Giordano ha venduto oltre quattro milioni di copie ed è stato tradotto in diverse lingue riscuotendo consensi ed apprezzamenti dalla critica. “La solitudine dei numeri primi” si è infatti aggiudicato il Premio Strega e il Premio Campiello Opera Prima, due riconoscimenti particolarmente ambiti dagli scrittori.

Il titolo, di primo acchito, pare evocare la condizione umana di chi è costretto a primeggiare, a raggiungere certi traguardi più per volontà degli altri che per una personale convinzione, sicché la solitudine che ne consegue sembra piuttosto il corollario di scelte “calate dall'alto”, il duro prezzo da pagare per le rinunce effettuate.

Invece la spiegazione la dà lo stesso autore per mano di uno dei protagonisti, Mattia, che ad un certo punto del racconto parla di quella particolare categoria di numeri primi che i matematici chiamano “primi gemelli”, ovvero “coppie di numeri che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero.”

L’autore usa questo sillogismo per raccontare la vita “parallela” di Mattia e di Alice, due ragazzi che il destino li fa incontrare ma che per una serie di circostanze non riusciranno ad unirsi, a concedersi l’uno all'altro come riscatto dai patimenti subiti. Il “numero pari” che li divide è rappresentato proprio dalla sofferenza delle proprie esperienze, che li condannerà ad una solitudine senz’appello perché le tracce del dolore, specie quando non viene elaborato, restano indelebili…

E’ uno dei (pochi) casi in cui la scelta del titolo (non dell’autore ma del suo editore) è risultata più che mai vincente contribuendo non poco, soprattutto nella fase del lancio del libro, ad avvicinare e stimolare i lettori all'acquisto.

LA TRAMA: Alice e Mattia sono due ragazzi che vivono la propria adolescenza con un pesante fardello: la prima, costretta dal padre a frequentare contro voglia la scuola di sci, subisce durante un’esercitazione un infortunio che la renderà zoppa ad una gamba; il secondo lascia la sua sorellina gemella (affetta da autismo) al parco giochi per recarsi da solo ad una festa di compleanno ma che al ritorno non ritroverà più.
I due ragazzi, che frequentano lo stesso liceo, s’incontrano ad una festa organizzata dall'amica comune Viola, una “bullo” al femminile che li esorterà ad avere una storia, ma pur essendo reciprocamente attratti, non riusciranno a superare i postumi delle rispettive esperienze: l’anoressia per Alice e il profondo senso di colpa per Mattia .
Le loro vite pertanto scorrono parallele ma la scelta di Alice di sposare un uomo che non ama e quella di Mattia di accettare una cattedra d’insegnamento all'estero per sfuggire alla realtà, non li renderà mai felici.

L’AUTORE: Torinese nato nel 1982, Paolo Giordano è laureato in fisica teorica. Recentemente ha pubblicato “Il corpo umano”, il suo secondo best-seller.

UN PASSO DEL ROMANZO: “I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi.”

GIUDIZIO: Il romanzo è ben scritto e scorrevole nella narrazione delle vicende dei protagonisti. La tecnica espositiva è ben costruita, quasi “scientifica” nella ricerca dei termini, tutti appropriati, per descrivere gli stati d’animo dei personaggi. Soprattutto la prima parte del racconto, quando si narrano le storie “individuali” di Alice e di Mattia, è avvincente ed emozionante. Si perde un po’ nella parte centrale, quando gli stessi protagonisti s’incontrano per poi allontanarsi ciascuno per la propria strada. Qui il romanzo pecca di originalità e appare piuttosto scontato quando racconta le scelte di vita dei due ragazzi che fanno un po’ scemare l’interesse e la curiosità del lettore. Si riprende nel finale anche se la soluzione del trauma di Mattia  poteva essere meglio sviluppata nel segno di una più convincente rivelazione logico-deduttiva della sua incapacità di amare. Nel complesso è un libro interessante in cui il contenuto prevale sulla forma, a dispetto della grande campagna promozionale che lo ha sostenuto.



LA TERRA DI NESSUNO

Riccardo morto di tumore a 22 mesi. Alessia morta a 9 anni. Francesco a 14 anni. Mesia a 3 anni. Antonio a 9 anni…

E’ il triste bollettino stilato da Roberto Saviano nell'articolo del 26 settembre 2013 su “L’Espresso”, con il quale lo scrittore partenopeo denuncia i malefici effetti de “La terra dei fuochi”, ennesimo scandalo del disastro ambientale originato dallo smaltimento dei rifiuti tossici.

Perimetro che delimita una vasta area della Campania, la “terra dei fuochi” ha assunto questa infelice denominazione per essere stata sommersa da una montagna di rifiuti nocivi, rabbuiando i cieli di moltissimi paesi della regione. Il tutto nel colpevole silenzio delle istituzioni che per anni hanno assistito a questo scempio senza nulla agire, divenendo esse stesse complici e fomentatrici della "precoce mortalità" di tantissime persone.

Perché parlo di colpevole silenzio? Perché la legislazione italiana e comunitaria in materia di smaltimento dei rifiuti ha imposto precise e rigorose regole in ordine alla gestione dell’intera produzione dei rifiuti, affidando alle autorità amministrative preposte, prime fra tutte, le regioni e i comuni, il controllo e la verifica di ciascuna fase del ciclo: dal conferimento allo stoccaggio e, infine, allo smaltimento nelle discariche “autorizzate”.

Basti pensare a due “semplici” requisiti che devono essere rispettati nelle gare per l’affidamento del servizio smaltimento rifiuti:

1. Iscrizione all'Albo Nazionale Gestori Ambientali della Regione di appartenenza.

2. Disponibilità di un impianto autorizzato ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006 e ss.mm.ii. per il conferimento finale della tipologia di rifiuti richiesta …

E’ alquanto inverosimile che chi doveva controllare e agire non ha visto nulla, sottovalutando per dolo o negligenza, i numerosi segnali d’allarme ricevuti, fra i quali, il rapporto di diciotto medici di Montesarchio (provincia di Benevento), che nel periodo compreso dal 2004 al 2005 avevano denunciato il vertiginoso aumento dell’indice di mortalità tumorale in questa città e nella Valle Caudina.

Ora si dirà che è tutta colpa delle organizzazioni criminali, ma la Storia insegna che non c’è reato impunito senza uno Stato efficiente. Gli studi sociologici abbondano di postulati e relazioni in cui l’azione criminale si propaga in misura inversamente proporzionale alla “desertificazione” delle istituzioni, locali e non, che non ci sono quando dovrebbero esserci, che non agiscono quando potrebbero (e dotrebbero) farlo.

Una riprova? Ecco un passo dell'intervista a Carmine Schiavone, il boss dei Casalesi pentito, mandata in onda nel programma televisivo "Le Iene":

"Potrebbe esistere la ' ndrangheta, mafia e camorra, senza gli appoggi? Potrebbero rimanere solo banditi di strada. Noi eravamo interni allo Stato ..."

La terra dei fuochi non è altro che la terra di nessuno, area di sordi e di ciechi in cui regna l’anarchia e l’illegalità, perché nessuno sono gli abitanti che ci vivono. E poco importa che Riccardo, Alessia, Francesco, Mesia, Antonio e tanti altri siano morti di tumore in tenera età. 

Poco importa che tanti altri lo saranno nei prossimi anni per la stessa causa.

Le parole sono nuvole di fumo che si disperdono sotto un cielo grigio e anonimo.


CENTO DI QUESTI POST

Con “Dei Sepolcri” ho firmato il centesimo post da quando, più di un anno fa, mi sono dedicato con anima e passione alla realizzazione di questo blog.

Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata, ma forse sarebbe più corretto parlare di “inchiostro digitale” che si è sprigionato dalla tastiera del mio computer per far conoscere sul web pensieri, stati d’animo, opinioni e desideri che altrimenti sarebbero rimasti a “poltrire” in qualche parte di me.

All'inizio di questa avventura ero un perfetto neofita ( e per molti versi lo sono tuttora): poco o nulla sapevo di pagine web, di indicizzazioni, di motori di ricerca dedicati, di social network che a iosa popolano il mondo degli internauti e che ormai stanno diventando una necessità sempre più impellente e irrinunciabile, al pari delle tradizionali azioni quotidiane.

Lo spunto è stato quello di presentare il mio romanzo "La prossima vita" , (primo post, peraltro molto scarno, del 27 gennaio 2012) ma chi ha avuto modo di spaziare in questo blog, ha potuto constatare agevolmente la varietà dei temi trattati, mosso soprattutto dal desiderio di far conoscere quelli a me più cari, ovvero la musica e la cultura.

Sono una persona alquanto refrattaria all'auto-promozione, tendenzialmente restia a raccontarsi, preferendo che siano gli altri a farlo per me. Ma ho dovuto fare di necessità virtù, cercando di muovermi con discrezione e in punta di piedi, conscio del fatto che se da un lato le nuove esigenze del mercato editoriale impongono l’affermazione dell’autore-promoter, dall'altro questa nuova figura, se non gestita con oculatezza e sobrietà, rischia di diventare invasiva, noiosa e controproducente.

Mi sono battuto (e tuttora lo faccio con convinzione) contro l’editoria a pagamento, le innumerevoli insidie del mondo virtuale che troppo spesso regala illusioni e ben poche certezze. Ho così creato, “a metà di questo viaggio”, la rubrica  "La vetrina degli emergenti"  per dare voce e risonanza a tutti gli autori, perché penso che la cultura, la buona cultura, debba essere valorizzata comunque, a dispetto delle logiche di mercato, fredde e calcolatrici, che mal si addicono alla spontaneità dell’arte dello scrivere.

E con lo stesso spirito ho inaugurato l’altra rubrica "A tu per tu con lo scrittore", in cui sono sempre gli autori i veri protagonisti, con le loro storie, le loro esperienze, le loro fatiche …

Come in tutti i traguardi che si rispettino, qualche dato statistico è d’obbligo:

"Giacomo Leopardi, poeta infinitoè stato il post più “gettonato”, tuttora presente anche nella classifica dell’ultimo mese.

"Giardino d’infanziaè stato quello più gradito dal popolo di facebook e di google, seguito a ruota da "Il mosaico degli emergenti",  "Odore di bimbo, la storia di Chiara, recensione del romanzo di Giovanna Albi, "Poeti in costruzione", "Ponte Vecchio, incipit de La prossima vita."  e "Le finestre dei pensieri"  recensione del saggio di Alessandro Bagnato.

Tutti gli altri post hanno ottenuto, comunque, un ottimo risultato e alcuni di essi sono in continua ascesa come "Lucciole d’altri tempi",  "Vaticangate: la carte segrete di Benedetto XVI",  "Cent’anni di solitudine" di Marquez, oltre al citato "Dei Sepolcri". 

Ottimi i gradimenti ricevuti per le interviste a Elisa Vangelista ( "Intervista col vampiro) e Cosetta Movili ("Una matricola con le ali).

Tra le pagine, “La vetrina degli emergenti” è stata quella più cliccata.

Il post a me più caro?Tutti sono stati scritti con il cuore, ma due tra questi mi hanno particolarmente commosso: "Gli angeli del dolore, dedicato alla scomparsa di Stefano Borgonovo e "ILVA, le stragi sommerse con cui ho affrontato il tema del disastro ambientale della multinazionale tarantina.

Infine, i commenti. Sono stati tutti carinissimi, anche quelli che, con garbo e correttezza, hanno espresso un’opinione diversa dalla mia.

A tutti voi va il mio sentito e sincero ringraziamento, con la speranza che questa meravigliosa avventura possa continuare con il vostro fondamentale sostegno per tanti altri post …

...emozionandovi …emozionandomi… 

DEI SEPOLCRI

Il rito della commemorazione dei defunti è giunto anche quest’anno alla sua consueta “edizione” di celebrazioni, istituzionali e non, che si elevano nelle piazze e nei luoghi degli eterni giardini delle rimembranze.

Ogni anno, come lo è stato nei precedenti, il ricordo dei nostri cari si fa solenne con lo scorrimento di immagini di un passato, bello o brutto che sia, che vogliamo resti impresso, a dispetto del dolore, nella nostra memoria.

Perché la ricorrenza del 1 novembre altro non è che il giorno della memoria, del silenzio che si fa voce e che fa più rumore delle parole, soprattutto di quelle “pensate” e mai dette.

All'ombra de’ cipressi  e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Né da te, dolce amico, udrò più il verso …”

Così scriveva Ugo Foscolo in “Dei Sepolcri”, opera di rara bellezza stilistica e contenutistica, con cui lo scrittore denuncia l’inutilità dell’uomo al passaggio della morte, perché le tombe sono oggetti che rendono i defunti uguali e indistinguibili:

Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte?”

Allora sopravviene il ricordo, che ci rende eterni anche dopo la morte, suggellando il legame con i vivi con una “corrispondenza d’amorosi sensi”.

Perché, a volte, si è più presenti da morti che da vivi. La morte riceve linfa dalla vita stessa e fa diventare eterni, attraverso, il ricordo, coloro che hanno compiuto gesta memorabili, che hanno saputo dare un insegnamento d’amore che si tramanda nell'animo di chi resta ...

Celeste dote è negli umani; e spesso
Per lei si vive con l’amico estinto
E l’estinto con  noi, se pia la terra …”

Anch'io davanti al mio sepolcro mi struggo nel ricordo di chi, pur lasciandomi, mi ha reso la persona che sono …

 “…finché il Sole
Risplenderà su le sciagure umane”.


UNA MATRICOLA CON LE ALI

Della "scuderia" de "La vetrina degli emergenti", cui ha partecipato per la promozione del libro "Numero di matricola 361114", Cosetta Movili è una valente scrittrice che si è aggiudicata il premio letterario Europa 2012 per la narrativa gialla e noir al femminile.

Impiegata presso il 186° reggimento paracadutisti "Folgore" di Siena e insignita dell'onorificenza di Cavaliere della Repubblica, Cosetta, come si capirà nell'intervista, ha una paura matta per il volo. Ma è un tarlo che non le ha impedito di usare le ali, quelle della fantasia, per dedicarsi con costrutto alla sua passione per la scrittura.

Nell'intervista, Cosetta Movili si racconta a viso aperto, spaziando da un argomento all'altro in un “volo immaginario” in cui l’idealità delle aspirazioni e la realtà di quanto realizzato si fondono fino a diventare … la stessa cosa.


IO: Nel tuo libro, “Numero di matricola 361114”, racconti l’esperienza di un reduce della guerra d’Africa, un tema purtroppo ancora molto attuale. Cosa ti ha spinta a dedicarti a questo argomento?

COSETTA MOVILI: Ho pensato di scrivere un libro di questo genere dopo la morte di quattro militari, effettivi al reggimento dove presto servizio, che persero la vita a Kabul durante una missione di pace. Il dramma scosse tutti noi notevolmente poi, un giorno, parlando con mio suocero, il protagonista della storia, l’idea prese concretezza. Con questo mio romanzo ho voluto raccontare la guerra, le atrocità della guerra, la guerra combattuta più di settanta anni fa ma volevo anche dare voce ai soldati odierni, a coloro che hanno visto morire i colleghi, che hanno visto la morte in faccia e sono riusciti a vincerla; storie diverse, vissute da ragazzi diversi, in tempi diversi ma, allo stesso tempo, tutte storie molto simili tra loro.

IO: Nel romanzo, come tu stessa racconti, si alternano aneddoti spiritosi ed episodi drammatici. Puoi farci qualche esempio per stimolare la curiosità dei lettori?

COSETTA MOVILI: Gli episodi drammatici sono, per lo più, riferiti alla guerra, a ciò che il protagonista ricorda come i momenti più emotivi che lui ha vissuto, compreso il rientro in patria e l’abbraccio con la madre; ritrovare colei a cui aveva sempre pensato e che al suo ritorno sembrava più giovane di lui. Ovviamente ci sono anche episodi simpatici come il ricordo dell’”ora del dilettante”, una sorta di teatro organizzato dai militari stessi, a Tripoli, che si mettevano alla prova nel canto o in recitazione, una specie della “corrida” televisiva odierna.
IO: So che sei impiegata presso il 186° reggimento paracadutisti “Folgore” di Siena e che sei stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana. Quanto ha influito la tua professione sulla realizzazione del libro?

COSETTA MOVILI: Molto direi. Io sono un’impiegata civile che comunque vive a stretto contatto con i militari da molti anni ed i loro racconti, le loro esperienze hanno influito molto nella stesura del mio libro. Cavaliere della Repubblica è stato un riconoscimento che non mi aspettavo e, quindi, un’onorificenza doppiamente gradita
IO: La guerra è un evento che offende qualsiasi convivenza civile e trasmette paura e angoscia. Che cos’è per te la paura e come l’hai affrontata, -se l’hai affrontata-, nel tuo lavoro o nella narrazione del libro?

COSETTA MOVILI: Virgilio, il protagonista, fa un’affermazione molto importante cioè che in guerra la paura è una sensazione persa anche perché, con il tempo, impari a conviverci. Più che la paura ho dovuto affrontare altre sensazioni durante la narrazione e durante la descrizione di determinati avvenimenti: commozione, empatia attiva con il protagonista e angoscia.
IO: Angoscia? Perché?
COSETTA MOVILI: L’angoscia è diversa dalla paura che è un’emozione che si manifesta verso qualcosa di preciso; l’angoscia è una specie di sofferenza indefinita ed è questo ciò che ho provato: un’emozione intensa entrando in empatia con il protagonista. Insomma ho condiviso con lui degli stati d’animo … particolari.
IO: Hai vinto il concorso letterario “Premio Europa 2012” per la narrativa gialla e noir al femminile. Un bellissimo riconoscimento. Che emozioni hai provato? Te l’aspettavi?

COSETTA MOVILI: No, non me l’aspettavo ed è stato davvero emozionante. Mi hanno chiamata al telefono e quando mi hanno specificato il motivo di quella telefonata non riuscivo a rispondere e quando l’ho fatto ho balbettato un po’. Anche l’intervista che ne è seguita, durante la premiazione, è stata molto simpatica specialmente quando mi hanno chiesto se la notte dormo e che sogni faccio.
IO: E tu cosa hai risposto?
COSETTA MOVILI: La verità: sono una intensa sognatrice. Sogno le situazioni più astruse che si ripresentano più volte e se sono abbastanza vivide mi capita di scriverle, variandole un po’!
IO: Nel genere per il quale sei stata premiata ti sei ispirata a qualche scrittore?

COSETTA MOVILI: S. King è l’autore che prediligo; leggo tutto di lui, persino il suo metodo di scrittura e, a parte qualche romanzo un po’ fuori le “righe”, lui mi emoziona sempre, riesce a darmi quel brivido particolare per cui non riesci a smettere di leggere un suo libro fino a quando non arrivi alla fine.
IO: Era solo un bambino”, del 2010, è stato il tuo romanzo d’esordio. Raccontaci qualcosa di questo libro.

COSETTA MOVILI: E’ la storia di un bambino di nome Alessandro che vive con la madre ed i nonni e lontano dal padre. La scelta di questa lontananza è proprio del padre, un uomo burbero e donnaiolo che non è mai presente quando dovrebbe e che rende il bambino insicuro ed inadeguato in molte situazioni. Una crescita difficile, un’adolescenza piena di ombre ed ambiguità fino alla maturità con la scoperta di una coscienza e l’autoconsapevolezza attraverso una scelta difficile ma presa con entusiasmo. La scelta di una carriera militare lontano da casa, da un padre rigido, dalla Sardegna dove Alessandro abita. Un nuovo destino per riacquistare la propria identità. Un romanzo basato su una storia vera che il protagonista mi ha raccontato.
IO: Come concili la tua passione per la scrittura con la tua professione, altrettanto affascinante, ma sicuramente impegnativa?

COSETTA MOVILI: Io sono una dipendente civile del Ministero della Difesa impiegata al 186° reggimento paracadutisti “FOLGORE” in Siena e la mia professione, non essendo un militare, non è poi così affascinante ma certamente è impegnativa. Scrivo nei momenti liberi … nella mia borsa non mancano mai questi tre oggetti: un piccolo taccuino, una penna, l’ipad: sono sempre pronta a scrivere!
IO: Anche se sei impiegata civile, hai mai provato l’esperienza del paracadutismo?
COSETTA MOVILI: Assolutamente no, soffro di vertigini e mi gira la testa anche se salgo sopra una sedia, non potrei mai buttarmi da un aereo. Mi piace, però, vederli scendere con i loro paracadute, vederli librare nell'aria e scendere a terra con grazia.
IO: Anche tu, come molti altri autori, hai scelto di auto-pubblicare le tue opere (nello specifico con la Youcanprint). E’ un atto di sfiducia verso l’editoria?

COSETTA MOVILI: Un po’ si, lo devo ammettere, specialmente se si ha ancora l’idea “romantica” dell’editore che ti segue e ti sprona! Con Youcanprint mi sono trovata davvero bene.
IO: La prima cosa che farai nel tuo futuro prossimo.

COSETTA MOVILI: Sto per pubblicare il mio nuovo libro “Tra realtà e fantasia: storie di vita”, che dovrebbe uscire a novembre, quindi a breve. Il libro è composto da una serie di racconti, tra cui quello che ha vinto il premio europa 2012, accompagnati da diverse foto scattate da un amico, Sergio Visone, dopo che aveva letto i racconti. Alcune foto, invece, sono state ispiratrici di ulteriori racconti.
IO: Dove i lettori possono trovare le tue opere?

COSETTA MOVILI:  Ecco alcuni link:
comunque si possono ordinare in tutte le librerie.

IO: Grazie per l’intervista. Ti auguro le migliori cose per il futuro.

COSETTA MOVILI: Grazie a te, l’augurio, ovviamente, è ricambiato!

LUCCIOLE D’ALTRI TEMPI

In questi giorni RAI 1 ha trasmesso la fiction “Altri tempi”, che ha visto protagonista una bravissima Vittoria Puccini nei panni di una prostituta di una casa di appuntamenti.

La miniserie, in due puntate, ha ottenuto ottimi ascolti (oltre cinque milioni), grazie anche al modo garbato con cui è stato trattato un argomento, di per sé impudico e imbarazzante, che sarebbe potuto sfociare tranquillamente nella volgarità o urtare, nella migliore delle ipotesi, la suscettibilità dei soliti moralisti e benpensanti.

La mercificazione del sesso nel mestiere più antico del mondo, è purtroppo una realtà ancora molto attuale: cambiano le sfaccettature (prostituzione di strada o in case chiuse o aperte), cambiano gli interpreti (etnia sempre più variegata nell'era della globalizzazione del tutto e del niente), ma il risultato è sempre lo stesso: la dignità delle persone che viene colpita, mortificata, fino ad essere annullata  per mano di un’azione (lo sfruttamento), prevaricante e prevaricatrice.

Se cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, allora “Altri tempi” della fiction sono anche i nostri tempi. Oggi come ieri e domani come oggi, si continuerà a discutere di un fenomeno che trova le sue radici nella povertà, nel bisogno come stato di necessità, nelle debolezze e nelle fragilità individuali, finanche nella sotto-cultura.

Su questo tema particolarmente "scottante" e delicato, ho scritto nel 1997 una canzone, “Lucciole”, pubblicata nel libro: “Le parole del mio tempo”.  So che una canzone non serve a risolvere un problema così complesso e complicato, ma è un omaggio che ho voluto fare a coloro che sono stati costretti, per un motivo o per un altro, ad imboccare una strada sbagliata.

La ripropongo agli amici del blog sperando che possa, quanto meno, far riflettere. Sarebbe già un successo.

Strade che finiscono davanti al buio
marciapiedi pieni di colore umano
qui non ci son stelle solo buchi sulla pelle

Scende anche stavolta lenta e silenziosa                              
questa notte brava bella e maliziosa
fatta per aprire cuori freddi e finestrini

Eccole che danzano sopra le ore
lucciole che ballano senza parole
con il capo in fondo si alzano ed è già il conto

Volti sconosciuti altri molto noti che
sfidano la notte e i bagliori tiepidi
che si vedono spuntare all'improvviso
quando tutto è già finito

E le trovi nei bar
con la spesa sul tram
certe hanno anche un figlio
e un marito coniglio
Altre sono chissà
a curarsi l'età
le ferite che il mondo
ha lasciato giù in fondo

(Orchestra)

Lucciole che ballano senza nascondersi
anche se non vogliono devono accendersi
aspettando il giorno
senza neanche un sogno

per tornare sulle strade
che finiscono davanti al buio
marciapiedi pieni di colore umano
Qui non ci son stelle
sono andate …a farsi belle!


 (LUCCIOLE, dall'album “Non c'è stato il tempo” – Le parole del mio tempo)

IO NON APPARTENGO PIU’

“Io non appartengo più
alle cose del mio tempo
non mi riconosco più
lì nascosto dietro un canto
non mi basta nemmeno il cuore
per giustificare capire sentire immaginare
non mi basta la forza degli occhi
per voltarmi e non guardare”


Con questi bellissimi versi Roberto Vecchioni presenta il suo nuovo album “Io non appartengo più” a pochi giorni dalla sua candidatura al premio Nobel per la letteratura (poi assegnato alla scrittrice canadese Alice Munro).

Melodia dalle atmosfere altamente intimistiche, questo disco del bravissimo artista milanese “cavalca” il risveglio della canzone d’autore, che torna prepotentemente alla ribalta seminando il vuoto intorno alle proposte musicali del momento, “insipide”, anonime e figlie di un tempo avaro, se non nullo, di emozioni.

Quando il testo di una canzone si eleva a Poesia è l’Arte che vince e sovrasta l’ovvietà, la comunicazione puerile e impersonale dei nostri tempi che divide e disunisce e ci fa sentire tutti un po’ più soli.

Con quest’album dal sapore fortemente autobiografico, Vecchioni mostra tutte le sue qualità migliori, rivolgendo un atto d’accusa ad un mondo diverso e divergente dal suo. L’autore, senza mezzi termini, punta il dito sull'uso spasmodico dei social network che tolgono sostanza e contenuto alle relazioni sociali in nome dell’apparire, del bisogno di raccontarsi senza ascoltare, di sentirsi individui fra milioni di individui che non “vedono” e non “comunicano”.

Concetti che il noto cantautore ha ribadito nelle ultime interviste rimarcando gli effetti negativi del potere mediatico sul senso di appartenenza dell’uomo alla comunità. La società moderna, per l’interprete di Samarcanda, è sempre più protesa all'esaltazione individuale, ai deliri di onnipotenza  che sfociano pericolosamente nell'emulazione collettiva.

La speranza lascia il posto al rimpianto ed è un brutto segno per chi, avanzando negli anni, è costretto a guardarsi indietro per immaginare un futuro diverso.

E allora “io non appartengo più, e lascio lo spiraglio alla mia porta, solo, quando vieni fallo con l'amore di una volta.”




GLI SCRITTORI NON MUOIONO MAI

La scomparsa di Alberto Bevilacqua (8 settembre), seguita quasi a ruota da quella di Carlo Castellaneta (28 settembre), ha privato il mondo della letteratura di due grandi scrittori del romanzo storico d’autore.

La morte, si sa, è un fatto ineluttabile che disarma e disorienta, ma quando colpisce esponenti della cultura, trascende il senso di abbandono individuale ed è qualcosa che somiglia tanto ad un vuoto diffuso ed invisibile, una sorta di "voragine collettiva" in cui è il pensiero, prima ancora che il sentimento, a sprofondare.

E’ un passaggio in cui la Cultura si ferma e retrocede, rigenerandosi nella memoria di chi ha scritto pagine indimenticabili, storie che hanno fatto la Storia, il passato che ritorna e che si proietta nel futuro come patrimonio prezioso per i posteri.

Carlo Castellaneta, milanese, ha esordito nel 1959 con Viaggio col padre, edito dalla Mondadori, romanzo che è una ricerca interiore degli affetti e del bisogno di comunicare.
Arriva al grande pubblico televisivo con Notti e nebbie, miniserie del 1984 tratta dall'omonimo libro del 1975. Sublime la descrizione del profilo del protagonista, il commissario Bruno Spada, che sacrifica qualsiasi remora morale di giustizia sociale pur di obbedire alla ragione di Stato del regime fascista. Quanti personaggi del genere si sono avuti (e moltiplicatisi) in ogni era o periodo storico da sembrare quasi il déjà vu di tanti altri incontrati nel nostro cammino, sicché “l’errore” è semplicemente la diversa sembianza con cui ci appaiono.

Di Alberto Bevilacqua, parmense del 1934, si ricorda il pregevole curriculum: da La califfa del 1964 (riprodotto più tardi nel film del 1970 interpretato da una straordinaria Romy Schneider) a Questa specie d’amore (Premio Campiello del 1966), da L’eros del  1994, a Gialloparma del 1997 da cui venne realizzato due anni dopo un film diretto dallo stesso autore.
Di Gialloparma, romanzo di malelingue e intrighi della provincia emiliana, si riporta il seguente passo a sottolineare la sensibilità e lo stile poetico dello scrittore:
 E adesso era notte piena di primavera, e Parma era gatta amorosa che si strusciava a coda dritta contro ogni spigolo della notte, Parma felina che sapeva farsi perdonare col suo profumo di tigli, e il venticello che tornava: schietta luce nera, che brillava di lampade remote, di fari …”

Quando Ugo Foscolo scrisse Dei Sepolcri (1807), venne mosso dalla profonda e struggente aspirazione di creare un collegamento indissolubile tra la vita e la morte: l’interruzione naturale e inevitabile dell’esistenza di ognuno, non impedisce la sopravvivenza delle illusioni, degli ideali, dei valori e delle tradizioni dell'uomo.

Per gli scrittori accade un pò la stessa cosa: su di loro non calano le tenebre dell’oblio perché sopravvivono nel ricordo di ciò che hanno scritto. Ed è per questo che... non muoiono mai.