UN ANNO DI BLOG

Anno nuovo, vita nuova! Per intanto godiamoci gli ultimi spiccioli del 2014 provando a stilare, come si è soliti fare in questi casi, un resoconto sulle cose che sono successe nell'anno che sta per lasciarci.

Qui lo faccio da un punto di vista squisitamente personale, ovvero dalla mia esperienza di blogger sfogliando, come le pagine di un diario, gli articoli che ho pubblicato negli ultimi dodici mesi.

Non mi stancherò mai di ringraziare tutti gli amici e i visitatori del blog che mi hanno seguito con tanta simpatia e passione: da voi ho tratto linfa e stimolo per andare avanti in questo progetto di intrattenimento e di riflessione sui temi della cultura, musica ed attualità che, alfine, è semplicemente voglia di scrivere e di comunicare emozioni.

Ecco quindi il mio calendario 2014 con i post più letti e graditi (clicca sul titolo se ti va di rileggerli):

GENNAIO: Aspettando la neve (che non arriverà), esce “La scrittura creativa”, una riflessione critica sulla "professionalizzazione" dell’arte dello scrivere che si contrappone all'autenticità e spontaneità dell’estro narrativo. E’ il post che raccoglie il maggior numero di consensi e di visualizzazioni.

FEBBRAIO: Il mese dell’evento musicale più atteso dell’anno, ovvero il festival di Sanremo condotto, per l’occasione, da Fabio Fazio e da Luciana Littizzetto. Non bisserà il successo dell’anno precedente. Vince Arisa ma molti l’hanno già dimenticato. Il 28 pubblico “Sanremo 2014: le mie pagelle” che risulterà il più letto del mese.  Ottimo il piazzamento della mia intervista a Pierluigi Di Cosimo, autore di “Dove tutti i sogni finiscono”, che sarà molto gradita ai lettori.

MARZO: Intervisto Stella Stollo, autrice del romanzo storico “I delitti della Primavera” nel post “La forza buona della lettura” che risulterà il più letto. Segue a ruota “Le identità culturali”, riflessione sulla globalizzazione sistemica dei cambiamenti etnici e sociali, che ottiene il maggior numero di gradimenti tra il popolo degli internauti.

APRILE: Esce “L’aquila non ritorna”, il seguito de “Le parole del mio tempo” ottenendo la palma del post più letto e più gradito. Ottimo il piazzamento di “Ti recensisco nel nome del lettore”, post che mette in guardia dalle recensioni artefatte. Per alcuni mesi rimane in classifica tra quelli più letti di sempre.

MAGGIO: “Rifiuti solidi letterari”, pubblicato proprio nell'ultimo giorno del mese, risulterà il più cliccato. Ma “Il libro che non leggerò”, dedicato alle lusinghe dell’apparenza, sarà il più gradito dal network di Virgilio “OK notizie”. Bene anche la mia recensione al romanzo “Dimmi come mai”, delle autrici Alessandra Alioto e Rosalba Repaci.

GIUGNO: Esce “La solitudine degli internauti”, post che analizza gli effetti negativi dell’avanzata dei social network. Otterrà il premio dell’articolo più bello dai lettori della community di Google Blogger and Blog”.

LUGLIO: Per commemorare la triste scomparsa di Giorgio Faletti, pubblico “Io uccido”, la mia recensione al best seller del bravo scrittore astigiano. Otterrà tantissimi gradimenti.  Anche la mia intervista a Flavio Standoli, autore di “Esperance: una missione per due” risulterà tra le più gradite.

AGOSTO: Pubblico “Ho smesso di credere”, testo sul disincanto tratto da “Le parole del mio tempo”, che risulterà il più apprezzato e cliccato dai lettori.

SETTEMBRE: “Il nome della rosa”, la mia recensione al capolavoro di Umberto Eco, scala la classifica dei post più letti del mese. Sarà anche quello più commentato dal social “Linkedin”.

OTTOBRE: “La luce oltre”, racconto breve dedicato alla commemorazione dei defunti, si aggiudica la palma del post più letto. Ma “Il paese dei vecchi”, canzone tratta da “Le parole del mio tempo”, ottiene il maggior numero di gradimenti. Particolarmente apprezzata dal popolo di Facebook la mia recensione al libro “La favola di Shakira”, scritto da Bonifacio Vincenzi.

NOVEMBRE: Pubblico “L’amore platonico”, una riflessione sull'Eros che sarà tra le più gradite e condivise dai lettori.

DICEMBRE: “Il suicidio”, ritratto crudo e amaro dell’emarginazione, "sbanca" la rete raccogliendo il maggior numero di consensi e di visualizzazioni. Uno dei post più letti ed apprezzati nell'intero anno.

BUON 2015 A TUTTI I LETTORI!

CARO NATALE

Cara matre, ho deciso: mi voglio cambiare. Preparami un bel regalo. Questo te lo dissi l’anno scorso e questo te lo dico anche adesso…” Come non ricordare questa divertente quanto ironica letterina di Natale declamata nella commedia “Natale in casa Cupiello” dal personaggio Tommasino davanti al papà Luca e allo zio Pasquale?

Il Natale 2014 è ormai alle porte e come tutti gli anni si torna a parlare di regali e della loro utilità rispetto al significato religioso della festa.

Non sono tra quelli che pensano che nella ricorrenza più attesa dell’anno non bisogna scambiarsi regali. E’ bene farlo ma a condizione che non si esageri e non si voglia a tutti costi emulare una (cattiva) abitudine basata sul mero consumismo.

In questi giorni i negozi sono presi letteralmente d’assalto da avventori mossi principalmente dalla voglia di fare acquisti per non sfigurare rispetto a una tradizione “luccicante” che supera qualsiasi reticenza dettata dall'attuale crisi economica. Insomma anche se gli euro scarseggiano, prevale la tendenza ad impacchettare questo o quel particolare dono a dispetto dell’impennata dei prezzi, sicché l’appellativo “caro” davanti al sostantivo “Natale” può essere indifferentemente inteso nell'uno o nell'altro senso.

Forse si è spinti dal desiderio di essere felici che talvolta è soltanto l’illusione di volerlo essere nonostante i problemi e le vicissitudini quotidiane.

C’è tutto un mondo che reclama autenticità, amore e generosità. Ecco che allora il “regalo” dovrebbe essere l’occasione affinché questi sentimenti fuoriescano in tutta la loro grandezza e (auspicata) imperitura anche quando la festa finisce e le luci si spengono.

E’ pur vero che ci sono comportamenti che vanno banditi, come quello di fare il regalo più bello (per se stessi) ma il più inutile (per chi lo riceve). Come pure va stigmatizzato il vezzo di “riciclare” il regalo ricevuto per darlo magari a chi si detesta ma che si “ama” solo in occasioni del genere.

La sobrietà del regalo, intesa come oculatezza e “disinfestazione” da proclami e intenzioni vuote e pompose, dovrebbe sempre accompagnare la scelta di regalare un sorriso non soltanto ai propri cari ma anche (se non soprattutto) a chi di sorrisi ne ha proprio fame.

La solidarietà è quindi l’ago della bilancia per far propendere la scelta di un regalo verso quanto più lodevole e proficuo possa rappresentare questo gesto: un buono spesa per chi ne ha bisogno o balocchi ai bambini più sfortunati sono soltanto alcuni esempi che possono rendere (e renderci) veramente felici.

Non ci vuole poi molto. Bastano pochi euro e tanto, tanto amore.

A TUTTI GLI AMICI E VISITATORI DI QUESTO BLOG I MIEI PIÙ SINCERI AUGURI DI 
BUON NATALE

LA CORRUZIONE DELL’ANIMA

In questi giorni lo scandalo di “Mafia Capitale” tiene banco nelle cronache dei mass media suscitando l’ennesima indignazione e avversione verso la politica del malaffare che proprio non riesce a cambiare rotta e a spogliarsi di quelle infime nudità di cui è portatrice.

Il premier Renzi ha annunciato l’inasprimento delle pene per i corrotti attraverso l’innalzamento del minimo edittale e dei termini prescrizionali, introducendo nuove modalità per la confisca e il patteggiamento della pena fino ad ottenere la restituzione integrale del mal tolto. Basterà?

A due anni esatti di distanza dall'entrata in vigore della legge 190/2012, meglio nota come “legge Severino” o “dell’anti-corruzione”, si parla già di revisione di quelle misure di prevenzione che avrebbero dovuto segnare il cambiamento radicale di un sistema di mala gestione che da tangentopoli in poi si è propagato a macchia d’olio, non arrestandosi nemmeno davanti alle sbandierate svolte epocali della seconda (e terza) Repubblica.

La Corte dei conti ha definito la corruzione come sistemica, ovvero stratificata e ramificata in ogni ambito della Pubblica Amministrazione come le metastasi di un tumore il cui focolaio risiede proprio nell’anti-politica. Se c’è la mafia è perché ci sono politici e pubblici funzionari corrotti e viceversa. Un’equazione che si autoalimenta fino ad ingrossarsi e ad ingrossare le maglie dei centri di poteri inquinandoli e sviandoli dall'unico fine che dovrebbero perseguire, ovvero l’interesse pubblico.

Se tale è il quadro (deprimente) dello scenario politico attuale, non bastano certamente misure repressive più efficaci ma occorre un’azione preventiva incisiva che agisca soprattutto sotto il profilo culturale, aspetto che nemmeno la legge 190/2012, pur nata con tutte le buone intenzioni, sembra garantire.

Le misure della “Severino” incentrate soprattutto sul piano anti-corruzione che ciascuna amministrazione pubblica è tenuta a dotarsi, se da un lato appaiono lodevoli sotto il profilo della trasparenza e della tracciabilità dell’attività amministrativa, dall'altro denotano molti punti deboli fra i quali, l’assenza di controlli preventivi di legittimità, l’eccessiva procedimentalizzazione degli adempimenti e l’obbligo di redigere un piano di formazione rivolto esclusivamente ai pubblici dipendenti senza allargare la platea ai centri di poteri della politica. 

E qui s’inserisce il problema della selezione della classe politica dirigente basata su regole ferree in grado di reclutare il meglio delle professionalità esistenti. Ma per fare questo è necessario che la società civile si rinnovi ed offra modelli comportamentali di assoluto spessore morale.

Perché la corruzione è nell'anima: di genitori che non sanno essere tali, di educatori che non sanno più educare, della scuola che non sa più insegnare, delle istituzioni che non sanno elevare a dignità morale e civile il mandato cui sono chiamati a svolgere.

Nel piano anti-corruzione che ho redatto nei comuni dove lavoro ho voluto inserire di proposito la bellissima frase dello scrittore statunitense H. Jackson Brown junior che da sola basterebbe a rappresentare la misura di prevenzione più alta e sublime:
Vivi in modo che quando i tuoi figli penseranno alla correttezza e all'integrità penseranno a te.”

TIZIANO NON SCAPPA PIÙ

Qualche anno fa fece scalpore quando dichiarò la propria omosessualità nel libro “Trent'anni e una chiacchierata con papà”. Ora Tiziano Ferro torna alla ribalta con il brano “Senza scappare mai più, singolo che anticipa l’uscita di una compilation che raccoglie i suoi maggiori successi con l’aggiunta di qualche inedito.

L’outing del cantautore di Latina avrà forse deluso molte delle sue ammiratrici che si sono viste scalzate dal ruolo di pretendenti di una (immaginaria) storia d’amore, ma è di sicuro un atto di coraggio per tirare fuori quell'identità troppo a lungo nascosta.

Ero fidanzato ma pensavo di essere attratto anche dai ragazzi …”, ha dichiarato qualche tempo fa l’autore di “Sere nere”. Gli "indizi" c'erano già in molti testi delle sue canzoni, fra tutte “Scivoli di nuovo” del 2008 in cui Ferro fa i “conti precisi per ricordare quanti sguardi hai evitato e quante le parole che non hai pronunciato per non rischiare di deludere …” Una sorta di preludio di quella confessione ufficiale che qualche anno dopo l’artista riporterà nel cennato libro autobiografico. 

Ma è solo con l’uscita dell’album “L’amore è una cosa semplice” del 2011 che Tiziano ha una presa di coscienza definitiva, pur sofferta e forse non ancora del tutto risolta : “Ho un segreto. Ognuno ne ha sempre uno dentro. Ognuno lo ha scelto o l’ha spento. Ognuno volendo e soffrendo …”. E ancora: “La differenza tra me e te … uno dei due sa farsi male, l’altro meno. Però me e te è quasi una negazione …”. Reminiscenze pirandelliane di chi è costretto a portare una maschera per apparire quello che non è (e non vuole essere).

Il mondo della musica ci racconta di tanti altri personaggi che hanno vissuto un travaglio simile, sia pure con effetti diversi dovuti al differente contesto socio-culturale. Umberto Bindi, ad esempio, autore di grandi successi, tra i quali “Il nostro concerto”, subì un vero e proprio attacco discriminatorio a causa della sua omosessualità evinta dall'anello che portava al dito durante il festival di Sanremo del 1961. Da quell'episodio la sua carriera artistica subì una forte battuta d’arresto che lo costrinse ad uscire dalle scene per oltre dieci anni prima di pubblicare un nuovo L.P.(il mitico 33 giri).

Altri artisti hanno invece preferito la strada della discrezione, come Lucio Dalla la cui vita privata è stata tenuta a debita distanza dai pettegolezzi e dalle dicerie che pur si mormoravano negli ambienti dello spettacolo. Fu solo dopo la sua scomparsa che si apprese della relazione con il collaboratore artistico Marco Alemanno, suscitando non poche polemiche soprattutto in occasione dell’apertura della successione. E qui ci sarebbe tanto da dire sul riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto che il nostro ordinamento giuridico continua ad escludere.

Per fortuna i tempi stanno cambiando nonostante permangano forti resistenze da parte di una certa corrente ideologica che fa dell’orientamento sessuale un preconcetto ancora fortemente selettivo e discriminatorio.

Bene allora che Tiziano Ferro abbia deciso di non scappare più. Sono gli altri che devono farlo … dalle loro misere idee.

SENZA SCAPPARE MAI PIÙ
(T. Ferro)
Senza scappare mai più
Luce buona delle stelle
Dimmi adesso dove andrò
Se non lascio cosa faccio, dimmi se poi rifletterò
E vorrei, imparare ad imitarti
Far del male come sai
Ma non posso non riesco non ho equilibri miei
Sai sai sai sai sai che
Penserei ad ognuno
ma nessuno pensa a noi
perderei la mano a farmi male se lo vuoi
Smetterei di piangere
ai tuoi segnali e poi
forse potrei fingere ma poi non ci crederei io
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Vento buono dell'estate scalda in pace chi già sai
Fai che la mia rabbia invece si raffreddi casomai
sai sai sai sai sai che...
Penserei ad un male che non ci ferisca mai
Penserei a una scusa che non ti deluda ma
preferisco i fatti alle parole anche se poi
Anche se poi preferisco me a chi fa finta come noi io
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Dal punto in cui correvo
E stavi fermo tu
Ti persi ma non scapperò mai più
Non scapperò mai più io
Non scapperò mai...
Correrei a salvarti a dirti che così non può durare
Correrei a parlarti a consolarti niente più dolore
Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più
Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più


LE VOCI DI DENTRO

Per commemorare i trent'anni dalla scomparsa del grande Eduardo De Filippo, la RAI ha trasmesso recentemente “Le voci di dentro”, con Toni Servillo regista e interprete del personaggio principale Alberto Saporito. A parte i paragoni ( tutti irriverenti) con l’immenso e inimitabile drammaturgo napoletano, l’opera è una delle più riuscite sotto il profilo dell’impegno sociale di Eduardo di portare sul palcoscenico l’analisi minuziosa dell’agire umano traendola fedelmente da quanto succede nella realtà.

Una trasposizione che il grande Maestro della nostra cultura volge a profitto con un’operazione chirurgica tesa a fotografare le caratterizzazioni tipiche dei comportamenti individuali rispetto ad eventi della vita comune, tali da suscitare nello spettatore una deduzione logica del tutto spontanea rispetto alla propria (o indiretta) esperienza.

Spesso ci serviamo delle fotografie per ricordare momenti più o meno indimenticabili del nostro passato, quasi a volerli immortalare per evitare vuoti di memoria. Nell'opera di Eduardo, come in tutte le sue commedie, è la vita stessa che si eleva a ricordo e a rappresentazione visiva di ciò che siamo senza che lo scorrere del tempo possa mai cancellare.

La commedia, scritta nel 1948, e riproposta in diverse rappresentazioni teatrali e televisive (di cui si ricorda la messa in onda del 1978 con una magistrale Pupella Maggio fra gli interpreti), è un ritratto fedele della nostra coscienza nella sua massima rappresentazione simbolica rispetto ad eventi più o meno accaduti. E poco importa se il protagonista Alberto Saporito abbia creduto nel sogno che un certo delitto sia stato commesso dai vicini di casa. Qui sono i comportamenti interiori ad essere reali ed inconfutabili, a dispetto delle prove giudiziarie che la magistratura dimostrerà essere del tutto inconsistenti.

Si può essere assassini senza aver commesso delitto alcuno, perché nelle voci di dentro è il simbolismo ad agire e a far tirare fuori dai protagonisti della storia la loro vera indole. Ne è una riprova l’atteggiamento dei vicini che vedendosi accusati di aver ucciso Aniello Amitrano, amico di Saporito, faranno di tutto per scagionarsi accusandosi a vicenda, progettando persino l’assassinio dello stesso protagonista pur di liberarsi dell’onta di un omicidio mai (realmente) commesso.

Pregevole il j’accuse di Saporito nel finale della commedia:

Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che parlo a ffa'? Chisto, mo', è 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate... Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi, l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando ..

E’ la perdita della stima il vero delitto commesso. Una componente della vita interiore che nessun ordinamento giuridico considera ma che ne “Le voci di dentro” assurge a macchia indelebile della nostra coscienza, come una delle più tangibili e implacabili condanne.


O SI DOMINA O SI E’ DOMINATI

Così parlò Dario Bernazza, autore di questo bellissimo saggio del 1979 che gli valse il prestigioso Premio Bancarella e una tiratura di oltre mezzo milione di copie. L’opera non lascia scampo ad una terza possibilità, perché la centralità dell’individuo risucchia qualsiasi tentativo di far dipendere la responsabilità delle proprie azioni dalle influenze e contaminazioni esterne.

Ciascuno è arbitro del proprio destino, nel bene e nel male, perché in ciascuno agisce il gene dell’intelligenza che predomina sugli eventi fino a condizionarli e ad orientarli, come il suo esatto contrario rappresentato dall'accettazione passiva di scelte e comportamenti compiuti da altri in luogo del nostro mancato agire.

Sono due facce della stessa medaglia che l’autore riesce a descrivere con acume linguistico ed eziologico, frutto di una riflessione profonda delle innumerevoli possibilità che albergano la nostra capacità intellettiva (e introspettiva), che rischiano tuttavia di rimanere inattuate se lasciate in pasto ai virus della disattenzione, dell’assenza assoluta di essere artefici e governatori della propria vita.

I termini “dominatore” o “dominato” e altri simonini usati da Bernazza non devono essere letti nella loro comune accezione di “prevaricatore” o “prevaricato”, come se ci trovasse di fronte ad uno scenario bellico fatto di soprusi o di aberranti egemonie. E’ la qualità della relazione con il proprio Io che assume rilevanza, ponendosi come base focale e decisiva per la crescita dell’individuo e quindi della società civile nel suo insieme.

L’autore dimostra “quanto sia interessante, dignitosa, intelligente, varia e ricca la vita del dominatore, e, per converso, quanto sia opaca, tribolata e insignificante la vita del dominato.”
Non esistono problemi del vivere “irrisolvibili” e “nessuno è innocente del proprio insuccesso”. 

PROMO: Questo è il Libro dell'Individuo, ossia è il libro del valore, della dignità e dell’affermazione dell’individuo «elevati alla massima potenza».

È il libro di chi vuol vivere da protagonista e non da semplice comparsa, cioè da dominato; di chi vuol essere «il vero artefice» della propria esistenza; di chi «non sopporta di non conseguire il successo»; di chi è convinto che «meno si è individui, meno si vive».

È il libro di chi merita di affermare:

«IO – ED IO SOLTANTO – SONO IL VERO SIGNORE DI ME STESSO».

L’AUTORE: Dario Bernazza è nato nel 1920 a Priverno, in provincia di Latina. La pubblicazione delle sue opere è però iniziata molto tardi. Il primo saggio, intitolato “La migliore maniera di vivere” fu pubblicato soltanto nel 1978, nel pieno della sua maturità. Tra i suoi scritti si segnalano “La soluzione del problema vita”, del 1982, e l’ultimo “Vivere alla massima espressione”, del 1989. Morirà sei anni più tardi, a Roma, all'età di 75 anni.

GIUDIZIO: Quando lessi questo libro avevo poco più di vent’anni ed ero nel pieno delle mie turbolenze giovanili. Non ero molto convinto del pensiero dell’autore. Ora, a distanza di molti anni, posso dire tranquillamente che l’opera di Bernazza mi ha aiutato a vincere molte delle mie battaglie interiori. Da leggere e da consigliare a chi ha voglia di prendersi cura di se stesso.

(DARIO BERNAZZA, "O SI DOMINA O SI E' DOMINATI", 1979)

L’amore platonico

Platone, grande filosofo greco vissuto tra il 428 e il 348 a.c. sosteneva l’alto valore spirituale dell’amore per il quale la congiunzione carnale, pur ammessa, non era tuttavia necessaria. Cresciuto sotto l’influenza di Socrate, suo Maestro e Mentore, Platone prediligeva i dialoghi alle dissertazioni scritte, poiché riconosceva solo ai primi la capacità di stimolare, attraverso il confronto, il mondo delle relazioni interiori.

Platone parla dell’amore principalmente nel Simposio, uno dei suoi dialoghi più significativi ( ma meno divulgato dall'insegnamento scolastico) nel quale i convenuti, guidati da un moderatore, esprimevano la propria concezione sull’Eros: una sorta di “Porta a Porta” o del “Maurizio Costanzo show” dei tempi antichi.

Fra gli oratori c’era Socrate, per il quale l’amore altro non è che il desiderio di qualcosa, “e siccome si desidera solo ciò che non si possiede, evidentemente non possiede questo qualcosa”. Come dire che quando si ottiene ciò che si desidera, l’amore smette di essere tale e diventa un qualsiasi bene di consumo. Per Fedro “l’amante è più divino dell’amato” poiché si pone rispetto a quest’ultimo in posizione di superiorità. In altre parole, nel Simposio prevale l’idea dell’amore che sublima la bellezza dell’interiorità a dispetto dell’attrazione dei sensi: non appena declina nella copulazione perde tutta la sua connotazione spirituale.

“Amor, ch'a nullo amato amar perdona”, recitava Francesca da Rimini nell'inferno dantesco per giustificare la sua relazione con Paolo, fratello del marito: se il loro amore si fosse fermato alla contemplazione dello spirito, secondo la concezione platonica, il loro destino avrebbe avuto ben altro esito. E diverso sarebbe stato il fato di Gertrude ne “I Promessi sposi”, se la “sventurata” non avesse risposto alle avances del perfido Egidio.

L’amore platonico concepito dagli antichi non miete vittime perché si eleva ad esaltazione dello spirito, perché  rifugge dal desiderio materiale e si proietta nella ricerca e valorizzazione dell’anima. 

La quotidianità, si sa, uccide l’amore se non lo trasforma in affetto, mutuo sostegno e tolleranza. Ma questa trasformazione è, per l’appunto, qualcosa di diverso dall'amore perché lo spoglia di quella idealità della purezza che, come tale, deve essere messa al riparo da qualsiasi contaminazione.

Bello l’amore platonico che non fa soffrire e trascende gli umani dispiaceri.

LA LUCE OLTRE

“Ninuccia cara, quest’anno il giro al cimitero sarà più lungo.” Ascoltavo le parole di zia Rosa rivolte a mia madre, mentre disegnavo sui vetri appannati della finestra della cucina un sole grande e sorridente; in cuor mio speravo che spuntasse davvero dal cielo nuvoloso di quella mattina di fine ottobre.

“Cosa voleva dire la zia?”, chiesi più tardi alla mamma.
“Per il 1 novembre dovremo far visita a un altro parente che ci ha lasciati.”
Ecco il giro lungo, pensai tra me. La cosa però non mi turbò. Come ogni anno ero impaziente di curiosare tra le bancarelle che sarebbero state allestite lungo il viale di casa mia. Già pregustavo tutte quelle bontà che mi facevano luccicare gli occhi, come il pan dei morti, dolci tipici del periodo ricoperti di tanto zucchero. Mia madre me ne comprava sempre un sacchetto insieme a una buona scorta di caramelle e di torrone alle mandorle.

Quella mattina mi recai al cimitero con la famiglia al completo: papà, mamma e sorella maggiore. All'ingresso c’erano altri parenti, zii e cugini, che ci aspettavano con fiori, lumini e qualche fazzoletto pronto per l’uso. Nel cielo nuvole scure si addensavano massicce preparando l’inizio della prima pioggia novembrina.

Cominciammo il giro. La tomba della nonna non era in buono stato: la foto spostata all'angolo della lapide, rimasugli di foglie ingiallite sparse qua e là e il vasetto delle orchidee con poca acqua. Ma le donne della “truppa” non si persero d’animo e passarono subito all'azione. C’era chi puliva con uno straccetto ogni parte del sepolcro, chi si recava al lavatoio per il ricambio dell’acqua, chi si occupava dei nuovi fiori da sistemare e chi invece accomodava gli oggetti nella giusta posizione.

“Dovrò parlare con il personale del cimitero”, si lamentò papà. “Avevo raccomandato di dare ogni tanto un’occhiata alla tomba. Vedo che non mi hanno ascoltato.”
“Tu prova ad aumentare la mancia”, propose mia madre. “Forse non sono contenti di quello che gli diamo”.

Andammo da Cesira.

Era una bambina morta vent’anni prima per un male incurabile. Si diceva che facesse miracoli e che le sue spoglie fossero, anche dopo l’ultima esumazione, ancora intatte. Aveva al suo seguito un gran numero di visitatori, a lei devoti per le guarigioni più difficili e insperate.

La tomba era quasi tutta ricoperta di fiori che a malapena si notava la foto, piuttosto sbiadita, di una fanciulla dal volto sorridente con tanti riccioli biondi. I miei si allontanarono per far visita a zio Luciano, l’ultimo della lista dei “più”, ed io rimasi solo con mia sorella. Tirai dalla tasca il sacchetto dei pan dei morti e depositai un biscotto sulla tomba di Cesira. Mia sorella annuì con un sorriso accarezzandomi il capo.

Ci avviammo all'uscita del cimitero dove trovammo i miei e gli altri parenti che si scambiavano gli ultimi saluti. Ad un tratto sbucò da quella piccola folla una bambina bellissima, simile a Cesira, che si avvicinò a me schioccandomi un bacio sulla guancia e sussurrandomi all'orecchio: “Grazie del dolcetto”. Chiusi istintivamente gli occhi ma quando li riaprii la bambina non c’era più. Mi girai verso l’ingresso del cimitero e una luce oltre il viale dei cipressi apparve come un arcobaleno dopo la tempesta.

“Riccardo, sbrigati a salire!”, gridò mio padre mentre apriva lo sportello della macchina. Mi accomodai sul sedile posteriore con mia sorella che mi aiutava a sistemare il berretto e la sciarpa. Sui vetri appannati del finestrino disegnai di nuovo il mio sole sorridente, illuminato di quella “luce oltre” che mi accompagnò fino al ritorno a casa.


(“LA LUCE OLTRE”. Racconto breve di V. Borrelli)

IL PAESE DEI VECCHI

I vecchi e la musica: un binomio spesso vincente grazie anche alla tenerezza che questa categoria di persone, oggi comunemente definita “diversamente giovani”, riesce a suscitare negli uditori più sensibili.

In un mondo imperversato da rottamazioni e roba vecchia da buttare, la musica ci ricorda, per fortuna, l’importanza onorifica dei capelli bianchi, delle rughe che affiorano su volti animati dalla voglia di essere ancora utili e propositivi, a dispetto del tempo che passa e del futuro che, inesorabilmente, si accorcia sempre di più.

Vecchio, diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te …” Così cantava Renato Zero nella sua splendida e indimenticabile “Spalle al muro”, la hit sanremese che è diventata un cult della nostra musica leggera, ma anche il preludio all'avanzare di ideologie politico-sociali fondate sul rinnovamento generazionale.

I vecchi sempre tra i piedi, chiusi in cucina se viene qualcuno. I vecchi che non li vuole nessuno, i vecchi da buttare via.” Altri memorabili versi intonati da Claudio Baglioni in una delle canzoni più belle del suo repertorio, tratta dall'album “Strada facendo”, del 1981.

E andando indietro negli anni “Vecchio scarpone, fai rivivere tu la mia gioventù…”, intensa e commovente “amarcord” degli anni del dopoguerra portata al successo da Gino Latilla nel Sanremo del 1953 in coppia con Giorgio Consolini.

Avevo poco più di vent’anni quando con la mia famiglia visitai Pertosa, un grazioso paese del salernitano noto per le sue splendide grotte. L’atmosfera contadina, squisitamente genuina e rivelatrice di antiche tradizioni, come la cardatura della lana o la spremitura artigianale delle uve per il vino, m’ispirarono una canzone dedicata ai vecchi, alla loro sapienza e cupa rassegnazione in una terra paradisiaca ma dimenticata dal tempo.

Nacque così “Il paese dei vecchi”, brano dell’album “Personale” scritto nel 1982. Nel testo, la descrizione dei luoghi e delle abitudini di un piccolo paese, disegnano l’attesa della morte, intesa in senso metaforico come decadenza dei sogni e della genuinità dei sentimenti di fronte all'esodo massiccio verso le città industrializzate della società moderna.

E’ una delle canzoni cui sono particolarmente affezionato e che ancora oggi mi fa emozionare col suo ritmo incalzante ed evocativo degli antichi sapori di un tempo

IL PAESE DEI VECCHI
(V. Borrelli)


Nel paese dei vecchi non si pensa alla vita
solo qualche partita e un bicchiere di vino
Poi si aspetta il tramonto con la stessa apatia
e si intavolano discorsi uguali che volano via

Ogni tanto si vive
un amore per strada
Ogni tanto una macchina bussa o rallenta ma il tempo non passa
E si sta col silenzio
si ride sempre di meno
Poi magari qualcuno corre in bicicletta e strappa al cielo un inganno

Nel paese dei vecchi si lavora nei campi
si coltivano gli anni ancora umidi di pioggia
C'è qualcuno che canta in aperta campagna
altri che si ubriacano sopra letti di paglia

Si sta per delle ore
intorno ad un tavolino
e si aspetta la morte quasi fosse la notte della liberazione
Sotto il sole maturo
piange forte il futuro
Sull'asfalto tortuoso è tracciata di rosso la figura di uomo

Nel paese dei vecchi ci son pochi problemi
e per caso qualcuno se li inventa davvero
C'è chi parla da solo ed invoca il perdono
Tutto passa o resta ma per l'ultima festa

Questa pace è il preludio
ad un nuovo digiuno
Ma che poveri cristi così soli così tristi in questi tempi più pigri
Strade senza un'uscita
rimpianti in una valigia
e si fa anche l'amore con il sesso sul muro non se ne accorge nessuno


(Dall'album “Personale”-1982, stesso anno di registrazione  alla SIAE).

TRATTO DA "LE PAROLE DEL MIO TEMPO"

QUANDO NASCE UN ROMANZO

Le fonti d’ispirazione per scrivere un romanzo sono tante, molteplici, talvolta persino ingovernabili. Si parte da un’idea, uno spunto, un pensiero fuggente che si sviluppa strada facendo e che diventa molto spesso qualcosa di diverso rispetto a ciò che lo ha originato.

Umberto Eco, ad esempio, quando scrisse “Il nome della rosa” non aveva in mente di realizzare un romanzo storico: era partito semplicemente dall'idea di scrivere un giallo-poliziesco fondato su “I delitti dell’abbazia”, titolo originario dell’opera. L’impronta storico-filosofica nacque soltanto durante la narrazione, dopo un anno passato a cestinare centinaia di fogli bianchi.

Percorso simile venne compiuto due secoli prima da Alessandro Manzoni con “I Promessi Sposi”, l’opera più famosa della nostra letteratura, nata dal romanzo iniziale “Fermo e Lucia” per poi svilupparsi in una capillare rappresentazione (e sovrapposizione) delle vicende dei due protagonisti sotto la dominazione spagnola del seicento, che in verità erano speculari e riproduttive di quelle vissute dall'autore durante il dominio austriaco dell’ottocento.

Più travagliato è stato l’iter seguito da Alberto Moravia per scrivere “La vita interiore: ben sette anni e sette stesure (1971-1978), mentre l’Italia precipitava nel baratro del terrorismo sconfinando nell'esaltazione ideologica della rivoluzione studentesca post-sessantottina. Il deterioramento socio-culturale incarnato dalla giovane protagonista, Desideria, fu uno dei primi esempi del personaggio anti-eroe che si frappone come punto di rottura tra la decadente borghesia pariolina e il comunismo rivoluzionario.

E che dire di “Guerra e pace”? Il romanzo di Lev Tolstoj che in origine doveva raccontare la rivolta dei decabristi, membri di una società segreta che nella Russia imperiale organizzarono nel mese di dicembre del 1825 (da qui il termine “decabrista”) un moto rivoluzionario per sovvertire il regime zarista. Diventò tutt'altra cosa proiettando l’attenzione sulle vicende di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov,  durante la campagna napoleonica in Russia del 1812.

Non a caso ho citato questi quattro grandi capolavori della letteratura mondiale per dimostrare quanto la genialità sia qualcosa di primitivo, di irrazionale, non pianificabile ma fortemente vulnerabile rispetto al contesto storico in cui si manifesta.  Qui manca del tutto una progettualità narrativa predefinita: lo scrittore è indotto a scrivere secondo l’evolversi degli eventi, e si sa che le cose migliori nascono quando il genius germoglia in un tessuto sociale animato da una forte spinta ideologica.

Con le debite distanze rispetto agli illustri personaggi testé citati, anche la mia esperienza di cantautore e di scrittore è stata (ed è) fortemente condizionata dalle perturbazioni sociali del mio tempo. Le mie canzoni, ad esempio, nascono prima interiormente, sicché le parole e le musiche sono piuttosto il corollario di un percorso embrionale che arriva alla luce, alla stregua del viaggio di un bambino nel grembo materno.

Quando ho scritto “La prossima vita”, sono partito da un evento drammatico, la morte di mia madre, per raccontare una storia che in qualche modo elaborasse questo lutto. Mi sono così completamente identificato nel personaggio principale percorrendo con lui l’esperienza trascendentale della morte, per la quale il travagliato rapporto coniugale con la moglie Cinzia è stato semplicemente lo strumento per attestare la sopravvivenza dei buoni sentimenti.

E’ così per il nuovo romanzo che sto scrivendo, nato dalla lettura di un’opera celebre (che per il momento non svelo) e che si sta sviluppando con una trama del tutto inaspettata.

Insomma, gli spunti sono tanti, ma quando nasce un romanzo è sempre un evento. Grande o piccolo che sia, è come un figlio che tieni in braccio coccolandolo e riempendolo di cure prima di lasciarlo andare, libero di camminare nell'infinito mondo delle idee.

GRUPPO DI SCRITTORI IN UN INTERNO

Tizio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Parliamo dei libri”. Caio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Leggere allunga la vita”. Sempronio ha pubblicato qualcosa nel gruppo “Viva la lettura”. Sono i messaggi tipici che gli appassionati della scrittura ricevono tutti i giorni dai gruppi nei quali sono iscritti.

Sembra un tam tam che si eleva dalle foreste vergini dell’Africa e che non smette mai di suonare, martellante e insistente come il vociare di una combriccola di scalmanati sotto casa che non ti fa dormire, e che si perde in lontananza alle prime luci dell’alba.

Certo, lo scopo è benevolo: attirare l’attenzione sull'uscita dell’ultimo romanzo, dell’ultima poesia o scritto coronati da immagini di copertina, link e quant'altro per invogliare il lettore a scoprire, curiosare o acquistare il prodotto reclamizzato. Non c’è nulla da meravigliarsi, né da scandalizzarsi. Lo faccio anch'io, sia pure con discrezione e parsimonia.

Ma se le buone intenzioni ci sono tutte, gli effetti che ne scaturiscono non corrispondono quasi mai ai risultati attesi. Il motivo sta proprio nella composizione di questi gruppi di letterati, formata nella maggior parte dei casi da scrittori che non leggono altro che le proprie opere, e che magari “storcono” il naso se un “concorrente” s’intrufola nel social di turno.

Sono singole voci di un gruppo di scrittori in un interno, che non riesce a spaziare, librarsi e liberarsi di un meccanismo che invece di unire i propri consociati, li divide e li attanaglia senza intessere alcuna relazione che sia condivisione, confronto, scambio di opinioni. Solitudini che si moltiplicano con sporadici “mi piace”, il più delle volte di “cortesia” o supplicati ma raramente recepiti da lettori, nella migliore delle ipotesi, semplicemente “distratti”.

Peraltro, molti di questi gruppi registrano al proprio seguito migliaia di iscritti, ed è statisticamente impossibile che si crei all'interno degli stessi una folta schiera di amici (virtuali o non) dedita alla conversazione o all'interscambio culturale, come se ci si trovasse in un salotto letterario pieno di amanti della lettura. Accade invece di frequente che si creino dei sottogruppi di poche decine di adepti, che rappresentano tuttavia una goccia infinitesimale rispetto al totale degli iscritti.

E poi c’è la questione degli “spam”, ovvero dei link che richiamano la pagina o l’articolo integrale della notizia, che in alcuni gruppi vengono rimossi come la peste, in quanto tendenziosamente “commerciali” o di “disturbo” a chissà quali altri post che meriterebbero maggiore spazio o visibilità. Personalmente non condivido questo metodo selettivo adottato da coloro che si ergono a “giudici” in un campo vasto e disomogeneo come la cultura, finendo con l’essere essi stessi parziali o poco credibili.

La cultura, oltre che essere uno splendido viaggio nella conoscenza, è libertà di scrivere, di diffondere il proprio pensiero in tutte le forme possibili, incontrando il solo limite del rispetto e della buona educazione verso l’altrui persona.

Nel mio piccolo ho creato una communityLa forza del sapere, e un gruppoL’occasione di scrivere”, nei quali viene data a tutti la possibilità di esprimersi e di comunicare qualsiasi cosa che sia attinente ai temi trattati, rispettando ovviamente le regole basilari del buon senso e della civile convivenza. Non pretendo che si creino chissà quali significative interrelazioni, al di là della libera discussione o spontanea condivisione. Penso e confido nell'intelligenza del lettore e nella sua capacità di valutare se leggere la notizia, approfondirla o semplicemente ignorarla … voltando pagina.

Basta semplicemente un clic e … la vita va avanti ugualmente. Anche se Tizio ha pubblicato qualcosa nel gruppo …

LA FAVOLA DI SHAKIRA

Di libri dedicati a personaggi illustri o popolari sono stati scritti a iosa nell'ampio e variegato palinsesto letterario, non sempre prodigo di proposte qualitative ed interessanti. Anzi, in casi del genere, il rischio di cadere nell'auto-referenzialità o di essere artefatti, è sempre in agguato.

Niente di tutto questo ho trovato in “Shakira, uno sguardo dal cuore”, l’ultimo libro di Bonifacio Vincenzi dedicato alla famosa pop star colombiana.

Mi ha colpito in primis l’originalità dell’impostazione biografica, avulsa da quelle connotazioni tipiche del racconto tradizionale che è solito svilupparsi con una cronologia puntuale ma asettica e sistematicamente lineare, tale da non lasciare sorprese ed essere, per così dire, piuttosto protocollare e schematico.

Nell'opera di Vincenzi, invece, la vita di uno dei personaggi più popolari del momento è raccontata in chiave favoleggiante, finemente poetica e finanche spettacolare, come se ci si trovasse di fronte ad un bellissimo paesaggio naturale nel quale ogni cosa prende forma e sostanza, muovendosi in uno scenario ricco di emozioni e di sensazioni positive. E’ la rappresentazione visiva delle parole che l’autore riesce abilmente a tirare fuori dalla descrizione dei profili interiori di Shakira, personaggio che ha fatto dei propri limiti una risorsa fino ad ottenere “una miscela esplosiva di energia che l’ha resa, per la sua straordinaria particolarità, unica al mondo.” 

Vincenzi è come un menestrello dei tempi moderni, racconta Shakira esaltandone le precipue qualità, accomunate tutte dalla ferrea volontà di riuscire, di superare qualsiasi barriera frapposta nel suo cammino, di saper cogliere l’attimo (carpe diem) per spaziare negli infiniti meandri del suo sogno, fino a divenire una splendida farfalla che si muove libera nel mondo al ritmo incalzante di una danza senza fine, perché Shakira è una “danzatrice sciamana che sviluppa una forza di suggestione sulla propria e sull'altrui psiche …”

Un personaggio così unico e prorompente non poteva non attirare l’attenzione di un Maestro della letteratura come Gabriel Garcia Màrquez, suo connazionale, che dell’artista scrive: “La musica di Shakira è inimitabile perché è dotata di un ritmo che nessun altro può reggere come lei. Data la giovane età e la sua innocente sensualità, debbo convenire che la sua musica è una sua invenzione”.

Sarà proprio Marquez a stimolare la curiosità di Vincenzi che lo porterà a dedicare alla bravissima pop star un libro che suggella la sua meravigliosa esistenza con parole e versi di pura poesia.

E’ un libro ben scritto, molto scorrevole e pieno di spunti emozionali. Particolarmente consigliato ai lettori che amano riconoscersi nei buoni sentimenti e nella semplicità delle cose.

L’AUTORE: Bonifacio Vincenzi è nato a Cerchiara di Calabria ed ha un curriculum di tutto rispetto. Nel suo vasto repertorio di pubblicazioni, ricordiamo:

  • quattro raccolte di liriche (ultima delle quali La tempesta perfetta, Aljon Editrice, 2009);
  • il romanzo Arrivederci, Letizia! (Editrice Il Coscile, 2000);
  • per sole donne, Un amore di carta (Aljon Editrice, 2011);
  • il romanzo per ragazzi Kremena e la sfida del fuoco magico (Giovane Holden Editrice);
  • per la Letteratura erotica, l'e-book Il nipote della vedova (Damster, Modena).
 Ha diretto la rivista La colpa di scrivere e il quadrimestrale di letteratura Il Fiacre N. 9, edita da Aljon Editrice. Nel 1985 ha fondato Il Musagete–Istituto culturale della Calabria nell'ambito del quale ha ideato diverse rassegne letterarie e di arte contemporanea. Ricordiamo, per la Letteratura, il "Settembre culturale calabrese", alla dodicesima edizione, e ancora "Variazioni sul tema", "Aura – Prova d'emozione", "I fuochi di Tomtor", "La bella estate", e moltri altri eventi. Per l'Arte, invece, l'itinerario artistico "Giano – Incontri con l'Arte e la Kultazione".
 
Ha fondato, inoltre, il Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata, il Premio Donna dell'anno e il Premio di lettura Hansel e Gretel.

Dirige per Aljon Editrice la collana di poesia al femminile "Il roseto di Kisgas" e la collana di poesia "L'Agave.

LE  LIBRERIE ON LINE  DOVE ACQUISTARE: Shakira, uno sguardo dal cuore.

IL NOME DELLA ROSA

E’ stato uno dei primi romanzi che ho letto nella mia tarda adolescenza. Di matrice storica con ampie venature di giallo, l’opera si colloca fra le prime cento più vendute in tutto il mondo (oltre cinquanta milioni), ed è tutt'oggi considerata uno dei fiori all'occhiello della letteratura italiana.

In genere i romanzi storici piacciono a chi ne è appassionato, ovvero raccolgono l’interesse di una determinata fascia di lettori. Non è stato così per “Il nome della rosa” che ha avuto l’astuzia di coniugare la prosa impegnata della tematica storica con la narrazione tipica del racconto “noir” , riuscendo così ad allargare la platea dei lettori, molto più variegata e popolare, fino a divenire un’opera facilmente ricettiva e alla portata di tutti.

Il tema del romanzo è incentrato sulla forza (distruttiva) del sapere che all'epoca in cui si svolge la storia (siamo nel 1327) era un privilegio appannaggio di pochi, uno strumento attraverso il quale si tendeva a dominare e a condizionare l’imperante ignoranza che regnava su gran parte dei consociati di quel periodo. Infatti, i misteriosi delitti che si succedono in una sperduta abbazia dell’Italia settentrionale porteranno alla soluzione del giallo grazie proprio ad un manoscritto detenuto nella biblioteca del convento, la cui conoscenza doveva essere inibita a chi improvvidamente ne veniva in possesso.

Siamo di fronte a dei tabù culturali che all'epoca del romanzo costituivano una regola difficile da scardinare, perché preordinata alla difesa e conservazione di una corrente di pensiero (nel caso di specie la cristianità sobria e rigida) in nome della quale le diverse inclinazioni culturali (come il manoscritto “galeotto” della Poetica di Aristotele sulla commedia e il sorriso) rappresentavano una seria minaccia all'ordine precostituito.

Il nome della rosa è divenuto anche un film di successo uscito nel 1986 e interpretato dal grande attore scozzese Sean Connery, nei panni del frate protagonista Guglielmo de Baskerville. Il film ottenne diversi premi e riconoscimenti, tra cui quattro David di Donatello (1987), tre nastri d’argento e due British Academy Film Awards.

Il titolo, menzionato in chiusura del libro con le parole "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" vuole indicare la relatività delle cose e degli eventi, che accadono senza lasciare altro che un nome, un ricordo: “la rosa, che era, ora esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi”.

LA TRAMA: Guglielmo da Baskerville, è un frate francescano inglese che viene inviato in un monastero benedettino dell’Italia settentrionale con l’incarico di partecipare ad un congresso tra i francescani, sostenitori delle tesi pauperistiche sulla povertà e carestia, e i delegati della curia papale. Lo accompagna il frate novello Adso da Melk, con il quale condurrà le indagini su una serie di misteriosi delitti che accadono nell'abbazia. Sarà la biblioteca, luogo antro e oscuro, che consegnerà ai due protagonisti la soluzione del giallo …

L’AUTORE: Nato ad Alessandria nel 1932, Umberto Eco è un famoso semiologo, filosofo e scrittore. Tra le sue opere di maggior successo, oltre al romanzo in commento, spiccano Il pendolo di Foucault (1988), e Il cimitero di Praga (2010). Fra i saggi “Leggere i Promessi sposi” (1989), “I limiti dell’interpretazione” (1990) e il recente “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” (2013). Autore raffinato e dotato di un’intelligenza fuori dal comune, Eco si è aggiudicato numerosi premi letterari collezionando ben 39 lauree honoris causa.

UN PASSO DEL ROMANZO: Il sapere non è come la moneta, che rimane fissamente integra anche attraverso i più infami baratti: esso è piuttosto come un abito bellissimo, che si consuma attraverso l'uso e l'ostentazione. Non è così infatti il libro stesso, le cui pagine si sbriciolano, gli inchiostri e gli ori si fanno opachi, se troppe mani lo toccano?


GIUDIZIO: Le tematiche del romanzo sul pensiero politico-religioso del cristianesimo, della sottocultura e del pregiudizio di comodo dei centri di potere del tardo medioevo, sono raccontate magistralmente in chiave romanzesca e giallistica, appassionando il lettore nella ricerca dei significati più puri ed emozionali della narrazione. I personaggi sono descritti in assoluta aderenza al periodo storico in cui sono vissuti, muovendosi in un contesto temporale ben rappresentato grazie alla genialità e all'acume stilistico di Eco. Da leggere e rileggere in ogni tempo.

DISCO ESTATE 2014: LE MIE PAGELLE

Quest’estate lascia i battenti per far posto a un autunno che si spera, almeno sul piano meteorologico, nettamente migliore.

Tra bombe d’acqua, carrettini di gelato (veri o presunti), e falò da spiaggia per riscaldarsi dalle intemperie, anche la musica effimera di questa pazza e anomala stagione ha forse risentito delle perturbazioni atmosferiche, annuvolandosi nei lidi e nelle balere senza lasciare grandi tracce.

Come di consueto, ho stilato le mie pagelle che anche quest’anno, come nelle ultime estati, non sono esaltanti. La qualità della musica è sempre figlia del suo tempo. E i tempi di oggi non sono particolarmente propizi sotto il profilo dell’ispirazione, della genialità e originalità delle canzonette.

Ad ogni modo il giudizio sotto riportato, - che si riferisce ad alcune tra le canzoni più gettonate,- è frutto, ovviamente, della mia personale valutazione che può non essere condivisa, com'è giusto che sia.

Cliccando sul titolo della canzone i lettori possono accedere direttamente all'esecuzione del brano su YouTube. Buona lettura e buon ascolto.

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CRIS CAB (Liar Liar): Ha vinto l’ultima edizione del Coca Cola Summer festival, con un brano che in italiano significa “Bugiardo Bugiardo”, vecchia disco music arrangiata ai tempi moderni. Ritmo incalzante e ballata orecchiabilissima,  a prova di vertigini per aver fatto roteare la testa di tanti giovani. Voto 8.

ANNALISA SCARRONE (Sento solo il presente): La musica è fatta di corsi e di ricorsi storici. Questa canzone sembra uscita dal Cantagiro, la fortunata kermesse degli anni ’70. La voce di Annalisa è comunque godibilissima. Voto 7,5.

SANTA MARGARET (Riderò): Ci sarebbe invece da piangere. Che cali presto l’oblio su questo gruppo. Voto 4.

COLDPLAY (A sky full of stars): Non ripetono i fasti di “Viva la vida”, brano che ha venduto oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo. Ma nella penuria dell’attuale panorama musicale è facile emergere con una canzone appena appena sufficiente. Voto 6

LAURA PAUSINI (Limpido): La “farfallina” di Belen ha contagiato anche lei. Durante un concerto in Perù l’accappatoio bizzarro l’ha mostrata come mamma l’ha fatta. Astuzia o ingenuità? Per intanto questa canzone non è così “limpida” come la sua performance sudamericana, Voto 5.

DEAR JACK (Domani è un altro film): Vincitori morali dell'edizione 2013-2014, di "Amici", il gruppo si consola guadagnando il disco di platino (oltre 50 mila copie vendute) dopo l’uscita del loro album che porta lo stesso titolo della canzone.  E’ senza dubbio il gruppo più gettonato e in voga del momento. Appunto, per il momento. Voto 6.

FRANCESCO RENGA (Il mio giorno più bello del mondo): Non ha vinto l’ultimo Sanremo, spiazzato da una “gelida” Arisa, ma si rifà con una canzone molto gettonata nei lidi di quest'estate, tra una bibita, un caffè o una partita a carte . Ma al ritorno in città non ha lasciato tracce. Voto 5,5.

ANNA TATANGELO (Muchacha): La compagna del Gigi nazionale (D’Alessio, n.d.r.), è l’esempio vivente di come il ciclo della vita possa andare all'incontrario. A 15 anni ne dimostrava 30, ora sulla soglia della maturità è ritornata ragazzina con un look effervescente che punta tutto sulla sensualità. Una bella “muchacha” e … niente più! Voto 5.

GIGI D'ALESSIO (Ora): Il compagno dell'Anna ciociara (Tatangelo, n.d.r.) propone un brano che è la biografia della sua vita: dalla mamma che lo ha incoraggiato ad andare avanti ai fans dei concerti che gli procurano tuttora "un brivido nella schiena".Banale. Voto 5,5.

MARCO CARTA  (Splendida ostinazione): Dopo le vittorie nel 2008 ad “Amici” e nel 2009 a Sanremo (con “La forza mia”), l’artista sardo ritorna con una canzonetta senza infamia e senza lode. Forse avrebbe fatto meglio a concedersi una pausa maggiore. Voto 5.

TIROMANCINO (Immagini che lasciano il segno): Lui il segno non lo lascia di sicuro. Tentativo maldestro di risorgere ma le intense “Amore impossibile” e “Un tempo piccolo” (scritta dal grande Califano), sono un lontano ricordo. Voto 5,5.

EMIS KILLA (Maracanà): Sigla dell’ultima edizione dei mondiali di calcio, questa canzone ha fatto felici tanti giovani rappettari. Meglio non destarli dal sogno. Voto 6. Di incoraggiamento.