LE PAROLE NEI RICORDI


Manca poco al countdown più atteso dell’anno, ma c’è ancora tempo per sfogliare l’album dei ricordi di questo 2019 che sta per andare in soffitta insieme agli altri che lo hanno preceduto. Riavvolgiamo il nastro come un film già visto, bello o brutto che sia, fortunato o funesto per tanti, pochi o per nessuno. Qualcuno ci ha lasciato, qualcun altro è rimasto a farci compagnia, il vecchio albergo della Terra si spopola e si ripopola nel solito ciclo della vita.

Come ogni anno, ecco il calendario 2019 de “Le parole del mio tempo”, con i post più letti ed apprezzati, di mese in mese in una carrellata di parole nei ricordi.

GENNAIO: “La neve di gennaio” si aggiudica la palma del post del mese. Riflessioni allegoriche sulla neve che imbianca e purifica i cuori dalle scorie dell’inverno.

FEBBRAIO: Il mese di Sanremo con “La musica che cambia” che decreta a sorpresa la vittoria di Mahmood con “Soldi”. Ma il post più letto sarà “Volevo solo essere amato”, racconto breve sulle persone dimenticate.

MARZO: “Ti presento Vittoriano”, l’intervista riproposta dopo qualche anno, piace ancora. A seguire “Storie di tutti i giorni”, raccolta di aneddoti di alcuni segretari comunali pubblicata su Amazon ottenendo un buon piazzamento nella classifica delle vendite.

APRILE: Ripropongo il racconto breve “Zucchero amaro”, che sale in vetta dei post più letti di questo mese. Piace anche “Prima di firmare, pensa”, consigli per chi intende intraprendere la carriera di scrittore.

MAGGIO: Ancora un racconto breve “La seconda volta”, che piace per la sua originalità ed ironia.

GIUGNO: Piace “L’anaffettivo”, racconto breve sull'anoressia dei sentimenti. A seguire “La solitudine dello stare insieme”, la peggiore che si possa vivere con le persone sbagliate.

LUGLIO: Comincia il techetechetè de “Le parole del mio tempo”, una rilettura dei post più letti negli anni passati che si protrarrà fino ad agosto. Vince “Le mani su di me”, racconto sulla violenza femminile.

AGOSTO: Stravince “Il dubbio”, racconto su un delitto immaginato o realmente accaduto che è presente anche nella classifica dei post più letti di sempre.

SETTEMBRE: “Amore mio”, riflessioni sulle tecniche dell’inganno in amore, sarà il più letto.

OTTOBRE: “Vestito in nero”, brano de “Le parole del mio tempo, piace ai più. A seguire, quasi a pari merito, “Niente sesso siamo obesi”, racconto sugli inconvenienti delle rotondità, e “La percezione del niente”, forse la riflessione più terribile dei nostri tempi.

NOVEMBRE: Dopo una lunga gestazione, annuncio l’uscita del mio nuovo libro “Il futuro imperfetto” che spero possa riempire, nel “venti-venti”, la libreria di tanti lettori.

DICEMBRE: Piace “La letterina di Natale”, monologo del grande e indimenticato Massimo Troisi.

A TUTTI I LETTORI DE “Le parole del mio tempo
I MIEI PIÙ FERVIDI AUGURI DI UNO SPLENDIDO

2020


SOLO UN ABBRACCIO


Non c’è gesto più affettuoso di un abbraccio. Ti fa sciogliere il sangue nelle vene e a volte può essere terapeutico, salutare, pieno di quel calore umano che non può essere compensato da nient’altro in natura. Nemmeno da una bella giornata di sole, dal fuoco ardente di un camino acceso, da un piumone imbottito nelle notti d’inverno.

Un abbraccio. È la cosa più semplice che si possa fare, il dono più bello che si possa ricevere, la generosità che passa in secondo piano nella memoria delle nostre azioni fino ad essere dimenticata troppo facilmente. Si pensa a tanto altro ma quel “tanto” a volte vale poco o niente.

Un abbraccio vale molto di più di quel tanto altro.

Ecco, se dovessi scegliere un modo di fare gli auguri di Natale ai lettori e agli amici de “Le parole del mio tempo” esprimerei questo desiderio: che ad una certa ora, ad un certo istante di questo Santo giorno, ciascuno si unisse all'altro in un grande abbraccio per sentire dentro il vero calore che manca.

Un abbraccio.

Solo un abbraccio.

I miei auguri a tutti voi di un felice Natale.

Vittoriano Borrelli



LA LETTERINA DI NATALE


Natale, tornano alla memoria le letterine. Quanti di noi, da bambini, non hanno provato l’emozione di scriverne una ai propri genitori con tanto di busta nascosta sotto il piatto del papà? Oggi i tempi son cambiati e queste cose non si usano più. Magari si mandano poesie e messaggi direttamente dal cellulare, tutto è veloce ed immediato ma forse le emozioni non sono le stesse.

Per questo Natale ho voluto ricordare uno splendido monologo del grande Massimo Troisi recitato nel 1982 che aveva a che fare con la letterina di Natale. A dire il vero il tema principale era la preghiera rivolta a Gesù per il cibo ai bambini buoni, ma ci sono diversi spunti e correlazioni con la letterina che la maestra ci insegnava a scrivere in occasione del Natale.

Riporto questo monologo tradotto in italiano anche se so di fare un torto alla maestria di Troisi che con il suo impeccabile e inconfondibile dialetto napoletano lo aveva reso stuzzicante e ineguagliabile.

È un omaggio al genio di San Giorgio a Cremano (paese vicino alla mia città d'origine, Portici), a 25 anni dalla sua prematura scomparsa.

Eccolo:


Con mia madre, guai se uno cominciava a mangiare senza fare la preghiera.

“Gesù ti ringrazio per il cibo che mi hai mandato e mandalo a tutti i bambini buoni.”

 E ogni volta arrivavo a scuola con una fame. Niente, dovevamo fermarci là.

“Gesù grazie del cibo che mi hai mandato…”

E a me, io ero proprio piccolo, a me questa cosa suonava un po’, cioè… mi dicevo tante volte:

“Già questo fatto di mandare il cibo solo ai bambini buoni …. se uno è Gesù ma che, fa queste cose? Se uno era un figlio  un po’ più vivace moriva di fame? “Diglielo pure a quello.” 

E invece no, sempre questa cosa di mandarlo solo ai bambini buoni…Io però mi facevo i fatti miei, non si può mai sapere, adesso me lo leva pure a me. Non era per vigliaccheria, era che avevo fame. Allora dicevo è meglio che stia zitto. Poi andai a scuola e a Natale stavamo qua e facemmo la letterina:

“Cari genitori , vi ringrazio per avermi messo al mondo…” Adesso non me la ricordo la letterina…

“Caro papà, ti ringrazio per il cibo che mi mandi…”  Allora io bloccai tutto.

“Cara maestra, qua ci sta una cosa che non va, forse lei non è al corrente, a me il mangiare me lo manda Gesù!”

MASSIMO TROISI

L’ALBERO PIÙ GRANDE


Voglio un albero il più grande che c’è
Che arrivi al cielo fino a toccare le nuvole
per sprigionare pioggia e bagnare la terra
a lungo divelta dalla ignobile guerra

Voglio un albero che sia il più verdeggiante
Che mi faccia da bastone per le mie membra stanche
E mi conduca sulle strade che non ho mai percorso
fino ad addormentarmi nell'ultimo scorcio

Voglio un albero che giunga alle stelle
Per farle cadere e regalare un sogno
a chi non ce l’ha perché gli è stato strappato
in un giorno sbagliato nel giaciglio violato

Voglio un albero il più luccicante
Che illumini ogni cuore soffuso e rabbuiante
Radioso e brillante un vero diamante
Così raro e prezioso il tuo abito più importante

Voglio un albero il più ramificato
Rigoglioso e avvolgente per tutta la gente
Che ha voglia di stringersi pur restando all'addiaccio
In questa notte magica con un unico abbraccio







L'ABITO NON FA IL MONACO


Preti e suore che si sposano tra loro, timorate di Dio che rimangono incinte prima di qualsiasi conversione, pedofili mascherati da pastori alla guida di fanciulli indifesi. Un quadro orripilante che è un insulto alla Fede religiosa, qualunque essa sia. Se i tempi sono cambiati in nome di una capziosa modernità dalle “larghe vedute”, meglio essere atavici, matusalemmi, retrogradi.

In questi giorni notizie del genere sono spuntate come funghi alimentando discussioni contrapposte tra assoluzionisti e acerrimi censori ma, fatto più preoccupante, propugnando il dubbio in quelle che sembravano essere convinzioni ben salde e incontrovertibili.

Se c’è una cosa che invece non ammette dubbi e ripensamenti è proprio la Fede. Il rapporto con Dio è di intima e immacolata matrice ma per coloro che scelgono la vita clericale o monastica questa relazione dovrebbe essere immune da qualsiasi condizionamento esterno che potrebbe renderla meno assoluta ed esclusiva.

Di questi tempi si parla molto di un'apertura al matrimonio degli appartenenti alla Chiesa perché, si dice, non ci sarebbe alcuna incompatibilità nel servire il Signore e fondare nello stesso tempo una famiglia a cui concedere uguale dedizione. Non so se è giusto, qui si tratta di mettere in correlazione l’Amore assoluto e l’Amore relativo che invece poggiano su basi ispiratrici diverse.

D’altronde se gli uomini e le donne del Clero hanno gli stessi impulsi e desideri delle persone “comuni”, tanto vale espungerli da una casta che invece li etichetta con finalità e aspirazioni ben precise. Tanto vale affermare che la Chiesa è la casa di tutti e che ciascuno possa celebrare messa, fare omelie o dedicarsi a missioni umanitarie senza la necessità di essere consacrato, di vestire l’abito talare come indicatore di una certa appartenenza.

C’è in gioco qualcosa di molto importante e di prezioso: la fiducia e il suo contrario, ovvero l’inganno, l’affidarsi nelle mani di chi, in veste di intermediario, dovrebbe purificarci di tutti i nostri peccati. Ma il peccato e il peccatore si mescolano nei ruoli e nelle interposizioni generando confusione, sgomento, disincanto.

La crisi dei valori passa anche da qui. È un problema di autenticità della vocazione, della perdurante dicotomia dell’essere rispetto all’apparire, così che l’abito non fa il monaco e non c’è vestito che tenga per nascondere quello che si è o si vuole essere.

Oggi, più di ieri, è più facile la trasposizione, l’interposizione, la riconoscibilità dell’irriconoscibile e si viaggia inseguendo ideali divini che si scoprono essere pezzi di carta che volano nei cieli infiniti per bruciarsi al primo sole del mattino.