IL MIO CALENDARIO BLOG 2016

Manca poco per cambiare il calendario, ma prima di farlo il pensiero vola tra le pagine dei dodici mesi trascorsi come un film che si riavvolge e si guarda dall'inizio. Negli enti e nelle aziende si parla di conto consuntivo, di rendiconto della gestione, di relazione finale degli obiettivi raggiunti rispetto a quelli attesi.



Non è cosa molto diversa dall'analisi che ciascuno di noi è portato a fare in questi ultimi giorni dell’anno. Spero che per molti il risultato sia in attivo o di buon auspicio per tutto quanto di bello e di importante ci si possa aspettare nel prossimo futuro.

Come blogger (per caso), anch'io mi appresto a tirare le somme di ciò che è accaduto sulle pagine di questo blog nel 2016. E’ stato un anno in crescendo che ha visto raddoppiare il numero dei visitatori e delle pagine visualizzate. Un risultato che non può che farmi piacere e incoraggiarmi a proseguire in questo piccolo ma piacevole passatempo.

Spero di avervi emozionato o almeno incuriosito per le cose che ho scritto e che ho voluto condividere con voi, preziosi e fedelissimi lettori de “Le parole del mio tempo”. 

Vorrei ringraziarvi ad uno ad uno; lo faccio idealmente da qui con l’augurio che possiate trascorrere la fine dell’anno e i prossimi a venire con pace, serenità e tanto amore.

Ecco il mio calendario 2016 con i post più letti e graditi. Per chi desidera rileggerli basta cliccare sui rispettivi titoli

GENNAIO: Pubblico il racconto breve “Mi bastano cinque minuti” parodia sulla velocità del tempo. Sarà il più cliccato del mese.

FEBBRAIO: Il consueto appuntamento con il festival della canzone italiana fa guadagnare a “Le pagelle di Sanremo 2016”, la palma del post più letto.

MARZO: “Le mani su di me”, altro racconto breve, sbanca il mese ottenendo una miriade di clic. La storia dolorosa di un incesto è piaciuta a molti superando i miei timori iniziali nell'affrontare un argomento così scottante e delicato.

APRILE: Stravince la seconda parte de "Le mani su di me" seguito a ruota da “Finché morte non ci separi”, riflessioni sull'emarginazione sociale.

MAGGIO: “Vita da cani”, dedicato ai migliori amici dell’uomo risulterà il più letto e gradito. 

GIUGNO: Esce “La lettera che non scriverò”, (il post a cui tengo di più) ottenendo migliaia di clic e di apprezzamenti. Monologo dedicato ad un amore impossibile, travolto dalle macerie del tempo. Sarà il secondo post più letto di sempre.

LUGLIO: Inauguro la rubrica “Blog retro”, una rivisitazione dei post più letti negli anni precedenti. Tra questi, “Cent’anni di solitudine”, il capolavoro di Marquez, che guadagna le prime posizioni.

AGOSTO E SETTEMBRE: E’ il periodo nel quale provo a realizzare una nuova veste grafica del blog da un’altra piattaforma. Non ci riuscirò, è troppo forte il richiamo alla “vecchia” impostazione.

OTTOBRE: Esce “Amici non ne ho”, post molto apprezzato anche da altre piattaforme come Google plus e nei vari gruppi sociali di Facebook.

NOVEMBRE: E’ “Il tempo parallelo” a guadagnarsi la palma del più letto. Tema affrontato: la ricerca della felicità che non paga (quasi) mai.

DICEMBRE: “Fammi ridere un pò”, dedicato alla solidarietà, si procura il maggior numero di clic del mese.


BUON 2017 A TUTTI I LETTORI!

NIENTE REGALI PER ME

Non voglio regali, ma solo abbracci, coccole, baci, calore e sorrisi sinceri. Non costano niente, non incidono sull’inflazione, non destabilizzano l’economia mondiale e l’euro, per una volta, sarebbe l’unica moneta di scambio dell’amore e della solidarietà fra i popoli della Terra.

Niente regali per me. Niente lustrini, luci colorate, lunghe tavolate di cibi elaborati e succulenti che il più delle volte causano problemi all’organismo e al metabolismo, piuttosto che procurare un senso di sazietà pieno ed appagante.

Meglio sarebbe proclamare la sobrietà di tutto ciò che è materiale ed effimero, esaltando la prodigalità dello Spirito come unica ricchezza che davvero conta e che ciascuno di noi sarebbe capace di esprimere al di là dei propri mezzi di sostentamento.

Mi piacerebbe che fossimo noi a brillare, non come “mine vaganti” ma semplicemente con la luminosità del nostro sorriso, spesso represso, smorzato, fuorviato dalle ansie e dalle preoccupazioni.

Niente regali per me, ma solo un abbraccio circonferenziale che dai margini del mondo arrivi come un vortice al centro della Terra consolidando l’anima buona dell’umano agire.

Ecco il Natale che vorrei, gli auguri che farei e che mi piacerebbe ricevere. Quelli che durano tutto l’anno e che si rinnovano ad ogni cambio del calendario.

E con questo spirito e attenzione che porgo a tutti i visitatori, amici e fedelissimi de "Le parole del mio tempo" i miei più cari e affettuosi auguri di

Buon Natale


Vittoriano Borrelli

AMORI DI IERI

Amori di ieri
sull'erba dei tuoi quindici anni già pieni
di curiosità
e di avidità
Le ansie e i pensieri
Carezze e promesse mancate per colpa
dei tuoi genitori 
o dei tuoi errori


Che tipo era lei
parlava parlava parlava
ma non si spiegava perché moriva per te

E quella con gli occhiali così magra fino all'osso
Diceva “Io con te ci sto ma darti me non posso”
E adesso che il passato è ritornato

Che vita è?
Buttata a calci come un barattolo
e fatta a pezzi come un giocattolo
che il vento sta portando via in un attimo
Che vita è?

E va
la vita al mare al bar o a farsi fottere
per un amore che è già polvere
che scivola e precipita nel correre
Che vita è? Che vita è?

Amori di ieri
Amori rubati amori violati
per curiosità 
per avidità

Amori sbiaditi
Amori ingialliti in fotografie
che non guardi più
che non ami più

Che tipo era lei
Restava in silenzio a guardarti
e non si spiegava perché moriva per te

E quella tutta riccioli e brufoli sul viso
che si portava addosso la rabbia in un sorriso
E adesso che il passato è già passato

Che vita è?
Buttata a calci come un barattolo
dimenticata e spenta dentro un vicolo
Spazzata via col vento in un attimo
Che vita è?

E va
la vita in qualche bar o a farsi fottere
per un amore ingrato che è già polvere
e scivola e precipita nel correre

Che vita è? Che vita è?

AMORI DI IERI

(Testo e musica di V. Borrelli)

NATALE IN CASA CUPIELLO

Nessuna opera teatrale come “Natale in casa Cupiello”, è in grado di rappresentare così bene le atmosfere tipiche della festa più bella dell’anno. Il capolavoro di Eduardo De Filippo, scritto nel 1931, è un cult che appartiene alle cose che non si dimenticano, una delle migliori produzioni mai partorite dal pur ricco repertorio della nostra letteratura.

Diverse sono state le rappresentazioni di questa commedia pregevolissima, ma la più riuscita è senza dubbio quella trasmessa dalla RAI nel 1977 con un cast di assoluto livello.

Tra gli altri,  Pupella Maggio nei panni di Concetta, moglie di Luca Cupiello, che apre il primo atto con la mitica battuta: “Lucariè scetate songh e nnove”.

Luca De Filippo nel ruolo del figlio Tommasino, detto “Nennillo”, tanto coccolato dalla madre da non alzarsi dal letto senza “'A zuppa 'e latte! Se non me la portate dentro il letto non mi soso”.

Gino Maringola, che interpreta Pasquale, fratello brontolone di Luca, che impreca contro i Cupiello per essere stato derubato dal nipote Tommasino delle scarpe e del cappotto: “I parenti? Iddio ne scampi e liberi! Che belli pariente … tengo 'e pariente, tengo!”.

E poi ancora Lina Sastri, nei panni della primogenita Ninuccia, che tradisce il marito Nicolino (interpretato da Luigi Uzzo) ma, -incalzata dalla madre che la implora a ritornare sui suoi passi-, sfoga la sua rabbia distruggendo il presepe in costruzione di Luca: “Si, scasso tutte cose! Site cuntenta, mo?”

Tra le scene più divertenti, la lettera di Natale che Tommasino scrive alla madre:

“Cara madre, ho deciso: mi voglio cambiare. Preparami un bel regalo. Questo te lo dissi l'anno scorso e questo te lo dico anche adesso”,

che si conclude, dopo l’insistenza di zio Pasquale di essere menzionato nella missiva, con:

Cara madre, che il Cielo ti deve far vivere cento anni assieme a mio padre, a mia sorella, a Nicolino, a me e cento anni pure a zì Pascalino, però con qualche malattia.”

Del genere tragicomico, “Natale in casa Cupiello” reca la genialità dell’autore di portare sulla scena una Napoli del primo novecento devastata dalle miserie postume della prima guerra mondiale. Una Napoli che si stringe nella sacralità e nella tradizione del Natale per tenere uniti gli affetti familiari.

E quel “Te piace ‘o presepe?”, è una domanda che implica l’accettazione di questa coesione filiale proprio come vuole la rappresentazione religiosa allestita da Luca Cupiello.

Una domanda che otterrà il sospirato “” dal figlio Tommasino soltanto al capezzale del padre morente. Ma il sipario che cala è ricco di emozioni e di intensa commozione.

(Per chi volesse leggere la commedia per intero ecco il link: 

L’ULTIMA NEVE

Quando si ha freddo nell'anima non c’è fuoco che possa riscaldarla. E’ come la neve che scende silenziosa depositandosi sulle nostre pareti interiori come bianche stalattiti che il tempo non cancella.

Il buco nell'ozono, le stagioni intermedie che non ci sono più, il disgelo dei ghiacciai, tutto fuori si trasforma e s’intiepidisce, ma dentro sembra che l’inverno abbia messo le proprie radici trovando terreno fertile in chi non sa sorridere o non ha più voglia di farlo.

Non si può essere felici per sempre e nemmeno soffrire in eterno, ma di questi tempi c’è una generale tendenza ai comportamenti mistificati che si ostentano quando si versa nell'uno o nell'altro stato d’animo. Quasi che la realtà, così vuota di valori e di punti di riferimento, abbia imposto certi modelli dell’agire sociale in cui a predominare è il consenso di massa prima ancora che la condivisione consapevole di ciò che si comunica.

Consenso o asservimento ad un savoir-faire preconfezionato. Sembrano queste le parole chiavi per far funzionare la macchina delle relazioni sociali. Poco importa domandarsi se si è davvero felici o soddisfatti di quello che si fa, perché ciò che conta è il giudizio che si può trarre dalla vasta platea di uditori e osservatori.

In politica, soprattutto in quella dei massimi sistemi, la ricerca del consenso (che non è condivisione) rappresenta la regola per l’ascesa al potere, la pregiudiziale che trascende in compiacimento e autoreferenza una volta varcata la soglia della stanza dei bottoni.

Qualcuno può obiettare che è sempre stato così, ma nei tempi moderni è cambiata la modalità d’uso: l’alfabetizzazione informatica ha reso tutti vittime e carnefici delle informazioni che veicolano nel web, con una forza visiva capace di abbagliare l’immaginario collettivo in luogo della riflessione.

Tutto accade velocemente, e tutti si preparano allo stesso modo ad un altro Natale, un’altra festa in maschera, salvo raccogliere i cocci di quello che resta di un’allegria vagheggiante  dopo aver mandato giù l’ultimo bicchiere.

Accade così che l’ultima neve non scende più dal cielo e non imbianca le montagne. 

E’ il vuoto che resta quando si spengono le luci e i rumori si acquietano per far posto al silenzio, unico ed assordante.

FAMMI RIDERE UN PO’

Il sorriso è un toccasana che aiuta persino a guarire dalle malattie. E’ scientificamente dimostrato che chi sorride di più ha più possibilità rispetto ad altri di vivere a lungo. Bisognerebbe non prendersi mai troppo sul serio perché la vita, per quanto ne sappiamo, è una sola e non concede replay.

Esiste la terapia del sorriso. Molte associazioni onlus sono dedite a questa importante missione organizzando nei luoghi di cura animazioni ludiche volte ad alleviare la condizione di vita di chi è costretto ad affrontare una malattia e quindi a convivere con il dolore, l’ansia e le preoccupazioni che ne derivano.

Sono “angeli” che prestano la propria opera con amorevole dedizione ma mai con improvvisazione. Associazioni come il Dottor Sorriso di Milano, nata nel 1996 in memoria di Aldo Garavaglia, imprenditore dedito all'assistenza ai più bisognosi, si propone di migliorare la vita dei bambini in ospedale attraverso la clownterapia, una cura di tipo psicologico attuata a stretto contatto e in collaborazione con medici, psicoterapeuti ed altre figure professionali impiegate a supporto della terapia medica.

In questi giorni che ci avvicinano al Natale ritengo sia doveroso rivolgere un pensiero a chi sta male, e in particolare ai bambini che sono costretti a passare le festività in un letto d’ospedale.  

Dal sito Focus Junior ho estrapolato alcune barzellette su Pierino, mitico personaggio tanto caro ai bambini. Chissà che questi piccoli angeli non possano passare da queste parti e deliziarsi nella lettura con un bel sorriso.

Sarebbe il mio regalo più grande.


1 - Pierino: “Signora maestra, è vero che non si può punire uno per una cosa che non ha fatto?". "No di certo!". "Bene, allora... non ho fatto i compiti!”. di Lupetta 24

2 - Pierino inizia a contare:'' undino, duedini, tredini... la mamma arriva e dice:''Pierino cosa stai facendo?'' E Pierino:''il conta-dino''. di Massi&Calcio

3 - Il fratello di Pierino gli chiede: Perché ti agiti come un matto? Pierino risponde: Ho appena preso lo sciroppo e ho dimenticato di agitarlo prima! di silvano99

4 - Pierino viene sgridato per l'ennesima volta dalla maestra perché non ha fatto i compiti: Pierino devi fare i compiti! Lo sai che un detto dice "chi inizia prima è già alla metà del lavoro? Ma signora maestra, io l'ho aperto il libro, appena tornato da scuola, ma... Ma cosa, Pierino, cosa? Ma i compiti non erano fatti a metà! di Phoneix

5 - Pierino va al supermercato con la nonna, trova per terra una moneta e dice alla nonna: "nonna nonna, posso raccogliere quella moneta per terra?" La nonna risponde "no Pierino, non si raccolgono le cose per terra". Mentre tornano a casa dal supermercato la nonna inciampa e cade. Chiede a Pierino di darle una mano, ma lui le risponde: "no nonna, non si raccolgono le cose per terra!" di Casta

6 - Pierino chiede alla mamma: "Mamma, quando ho finito posso leccare tutta la tazza? E la mamma:"No Pierino, fai come tutti gli altri bambini... aziona lo sciacquone!" di Giulia 

7 - La maestra chiede a Pierino dove si trova il monte Bianco. E lui: "sul libro di geografia, a pagina 66!" di carlotta dec

8 - “Pierino dice: papà, se prendo 10 a scuola mi dai 10 euro? E il papà: sì. Pierino allora gli dice: "beh, allora dammene cinque, perché a scuola ho preso 5. Ti ho fatto anche risparmiare 5 euro!" di Matteone

9 - Pierino dice alla mamma :- mamma mamma, ti ho trovato il regalo di Natale... e la mamma dice: "cos'hai scelto, tesoro?" E Pierino risponde: un vaso!" La mamma dice: "ma Pierino, ce l'ho già un vaso....!" E il discolo: no invece, te l'ho appena rotto! di Gatto nero

10 - “Pierino arriva in ritardo a scuola, la maestra lo rimprovera: "perché arrivi a scuola sempre in ritardo?" Pierino le risponde:" per via del cartello che c'è in fondo alla strada. "Quale cartello?" E Pierino:"quello che dice RALLENTARE, SCUOLA NELLE VICINANZE! di Eli17

I MIEI SILENZI

A volte sono più assordanti delle parole e navigano tra i pensieri in cerca dell’approdo più sicuro. Silenzi che sono voci, nitide o confuse dai rumori di città. Si appartano e ti appartano creando una barriera con il mondo delle grida, delle parole altisonanti che nulla aggiungono e molto tolgono alla capacità di ciascuno di essere visibili.

Ci vuole coraggio e attenzione per ascoltare i silenzi, quasi una predisposizione innata, prenatale, che nasce dal nulla e con il nulla si amalgama per formare un intero, la dolce metà che cerchi quando le parole ti deludono e non ti appartengono più.

Si innalzano i silenzi nelle notti stellate, quando non riesci a dormire e fuori tutto si assopisce nel dormitorio, solito e tranquillo, che prelude ad un altro mattino. Di tanto in tanto si accendono le luci dalle finestre delle case, qualcuno sta male o ha solo voglia di guardare il cielo e immaginare che ci sia, oltre quel manto, la pace infinita.

Ci si abitua ai silenzi che quasi non senti più il suono della tua voce. A volte temi di aver smarrito l’uso della parola: vai in bagno, fai dei gargarismi per verificare che l’ugola sia ancora squillante, esercizio che ricorda quello dei cantanti prima di un’esibizione. Qualche goccia ti va di traverso, tossisci, diventi paonazzo ma sei ancora vivo e questo ti dà sollievo.

O forse no.

Anche le parole, quelle misurate, concise, ed essenziali, sono silenzi. Delicate risonanze che ricordano, ad esempio, la bellissima poesia di Salvatore QuasimodoEd è subito sera”:   

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

L’essenzialità della vita in questi tre versi:
solitudine
felicità e dolore
e quindi la morte.

Bello ascoltare i silenzi, raccontarli e viverli da soli o in buona compagnia nelle sere d’inverno davanti al camino a guardare il fuoco.

E immaginare, con gli occhi innocenti, che quella fiamma non si spegni mai …

HO SCRITTO UN CAPOLAVORO

Mamma, ho scritto un capolavoro. Leggi qua: c’è pathos, azione, suspense. I personaggi sono ben definiti e la trama tira che è una meraviglia. Sento di aver creato qualcosa di straordinario.”

Molte volte comincia così l’avventura di chi si cimenta nella scrittura e i primi proseliti sono proprio i familiari. Ma per una mamma, si sa, i figli so’ piezz’e core, e il giudizio che ne scaturisce non è mai obiettivo. Anzi, accade altrettanto frequentemente che le supposte qualità artistiche siano propinate proprio dai genitori.

Gli amanti della pellicola ricorderanno sicuramente uno dei capolavori del cinema italiano: quel “Bellissima” interpretato dalla indimenticabile Anna Magnani in cui la protagonista accompagna la figlioletta ad un provino cinematografico convinta che diventerà una stella. L’amara realtà le darà invece un responso di tutt'altro esito.

Talentuosi si nasce o si diventa? Antico dilemma che non pare sia stato risolto, come il dubbio amletico dell’essere o non essere che la Storia ha consegnato alle teorie più disparate e suggestive ma mai pienamente convincenti.

Al di là dei risvolti più o meno interessanti della questione, è un dato di fatto che oggi, più di ieri, la propensione a riconoscersi più meriti di quanto si hanno è una costante che si sta espandendo a macchia d’olio, un trend che la rete internet ha reso possibile grazie a palcoscenici virtuali facilmente accessibili e appropriabili. Ma, come nel film “Bellissima”, è una ribalta quasi sempre effimera ed illusoria.

Non c’è più selezione della qualità e tutto viene catapultato nella rete senza distinzione alcuna. Quello che emerge è una competizionesgomitante” e “sgomitata” a colpi di post, immagini accattivanti, recensioni costruite e messaggi subliminali.

Forse sto invecchiando ma ho nostalgia dell’editore di una volta, quello che leggeva, selezionava e sapeva investire sul talento. Non se ne trovano più perché ormai sono stati sommersi da questa campagna “fai da te”.

Mario ha pubblicato qualcosa in …
Evaristo ha pubblicato qualcosa in …
Gemma ha pubblicato qualcosa in …

Capolavori” ? Ai posteri la facile sentenza!

Si nasce con un capolavoro dentro di sé, lo si manca per averlo voluto.” (Max Jacob).


IL TEMPO PARALLELO

C’è chi passa metà della sua vita a cercare la felicità domandandosi nell'altra che cosa sia mancato per non averla trovata. Succede,  il più delle volte, per mancanza di sintonia relazionale tra le proprie aspettative e la risposta ai comportamenti attesi. Dovrebbe essere tutto più semplice e invece non lo è quando si vive in un tempo parallelo, diverso e sovrapposto a quello reale, tangibile e immanente ma fortemente deludente.

Si tende allora a virtualizzare ogni cosa sperando che tutto ciò che si è idealizzato possa, come per incanto,  materializzarsi e trasporsi nel tempo effettivo riempiendo quel vuoto emozionale che si è andato formando. Ma le persone non sono mai come le desideriamo sicché il rimpianto, misto a delusione, diventa la molla che fa scattare l’allontanamento e l’abbandono .

Il tempo parallelo non invecchia mai, alberga nell'anima di chi si fa scudo del suo divenire per affrontare le intemperie e le inquietudini in una sorta di sopravvivenza, necessaria e unica. E’ figlio del dolore che non si è superato nel tempo effettivo perché le ferite, quelle più profonde, non si rimarginano mai.

C’è un passaggio de “La prossima vita in cui Leo e sua moglie Cinzia, ciascuno deluso dall'altro, decidono di interrompere qualsiasi comunicazione tra loro salvo recuperarla, nel tempo effettivo, con la cosa più materiale e scontata:

Muti di giorno, la sera sembrava fatta apposta per dare sfogo al nostro linguaggio dei sensi e per ristabilire tra noi quell'equilibrio che la vita diurna pareva mettere in bilico. Insomma, cercavamo di recuperare attraverso il rapporto fisico il senso di appartenenza alle cose e alla realtà ed, alfine, alla nostra stessa esistenza.

Quella solitudine e quell'essere distanti, che di giorno ci faceva comportare come due stranieri inibiti nel linguaggio e nella comunicazione interpersonale, di notte si trasformava in una sorta di àncora di salvezza che ci restituiva, attraverso la congiunzione carnale, il senso di essere una coppia che viveva sotto lo stesso tetto e che, bene o male, doveva agire come tale, almeno fino a quando la vita che ci eravamo imposti non sarebbe cambiata.”

Nel tempo parallelo agisce il simbolismo, l’attesa e la speranza che tutto possa cambiare da un momento all'altro. E’ l’antitesi di quello che si dice comunemente: “La realtà supera l’immaginazione”, per indicare qualcosa di straordinario e di inaspettato.

Invece nulla accade rispetto alle proprie aspettative e il tempo vissuto è qualcosa d’incompiuto, un cronometro che segna le rughe e il decadimento fisico mentre dentro tutto resta intatto e inesplorato.

Come un bambino perennemente in attesa che la porta di casa si spalanchi per fare entrare il sole.

LA DOLCE MORTE

Dopo il successo di “Dimmi come mai”, ecco un giallo intrigante e ben confezionato dal duo Alessandra Alioto e Rosalba Repaci che appassiona e fa riflettere sulle vicende narrate in una casa di riposo di Genova. Qui la morte di un’assistita per un’ “overdose” di acqua bollente nella vasca da bagno in cui era immersa, fa gettare i sospetti sull'infermiera Angela, accusata di negligenza e sospesa dal servizio in attesa delle indagini del Maresciallo De Scalzi.

La morte, come fatto ineluttabile che accomuna gli ospiti di Villa Graziosa, diventa lo spunto per raccontare la loro condizione di vita nell'ultimo tratto che li separa dalla fine. Significativa è la descrizione della struttura divisa su tre piani: il piano terra destinato  agli uffici e servizi, il primo frequentato da ospiti ancora lucidi e autosufficienti, e il secondo dagli anziani colpiti da demenza senile. Una descrizione che ricorda il purgatorio dantesco, una piramide a scalare in cui la beatitudine sembra essere inversamente proporzionale alla consapevolezza del vivere e dell’essere ancorati, fino al momento del “trapasso”, ai patemi e alle sofferenze terrene.  

La ricerca del colpevole, che pure incuriosisce il lettore spingendolo a divorare le pagine del libro, quasi passa in secondo piano rispetto all'impronta psicologica che le autrici hanno saputo imprimere ai personaggi della storia, tutti ben descritti e radicati in un tessuto sociale molto aderente alla realtà.

Come la raffinata Evelina, ospite della struttura dotata di una dolcezza infinita, che ancora si commuove per le piccole cose e fa battere il cuore per il “coinquilino” Aldo, a sua volta impegnato a ricucire il rapporto con sua figlia, occasione di riscatto che la vita concede a tutti anche se si è all'ultimo percorso. O come Bruno, ospite brontolone ma dalla battuta sempre pronta, o la timida e insicura Iole, sua partner in tante memorabili partite a carte. E che dire del Maresciallo De Scalzi? Personaggio dinamico e brillante che si fa aiutare nelle indagini dal brigadiere Ippolito, accoppiata che ricorda, per certi versi, il duo Rocca-Cacciapuoti di una fortunata serie televisiva. E sullo sfondo ( ma non troppo), la storia d’amore tra Gilda, capo sala di Villa Graziosa, e Paolo, figlio della vittima, a suggellare la solidità delle emozioni semplici, quelle che nascono in punta di piedi e che durano per sempre.

Insomma ci sono tutti gli ingredienti per leggere tutto d’un fiato questo giallo accattivante in cui si snodano tante storie e dove anche la morte diventa dolce se … si fa attendere.

LA TRAMA: La tranquilla casa di riposo “Villa Graziosa” di Genova è messa in subbuglio dopo la morte di Franca, ospite della struttura trovata nella sua vasca da bagno con la temperatura dell’acqua a 50 gradi. Un incidente? Una disattenzione dell’infermiera Angela? Le indagini affidate al Maresciallo De Scalzi scopriranno un mondo sconosciuto ai più, ma pieno di vitalità e di cose ancora da raccontare per chi ha imboccato l’ultimo tratto della propria esistenza. Il tutto a dispetto della morte, dolce o amara che sia …

LE AUTRICI: Alessandra Alioto, di La Spezia, e Rosalba Repaci, di Genova, hanno debuttato con successo nel 2014 con il romanzo “Dimmi come mai”. Educatrice professionale, la prima, ed esperta nel sociale, la seconda, hanno rinnovato il loro sodalizio con “La dolce morte” perché formula vincente non si cambia. E c’è da giurarsi che sarà così anche stavolta.

UN PASSO DEL ROMANZO: “ … il Parco di Nervi si popolava sempre di bagnanti accaldati che dalla scogliera sottostante risalivano per godersi un po’ di verde frescura. Tardavano soltanto i più sensibili, gli amanti della luce del tramonto, di quel chiarore che si spegneva sulla linea d’orizzonte del mare, quando l’aria calda iniziava a stemperarsi, il sole a infuocarsi e i rumori a diventare ovattati. Entrando nell'acqua caldissima e limpida, si fermavano a guardare il mare infinito, godendosi il silenzio.”


GIUDIZIO: Cinque stelle per le brave autrici ligure. Tranne rarissimi casi, non si è mai scrittori per caso. Per fare un buon libro ci vuole competenza, attenzione nei particolari e pathos narrativo. Ingredienti che ci sono tutti ne “La dolce morte”. 

IL MIO PROSSIMO POST

Sarà luminoso come il sole del primo mattino, radioso come il sorriso spontaneo di chi ti guarda senza giudicarti, colorato come i fiori vivaci di una primavera che sovrasta ogni altra stagione per rimanere attaccata alle pareti dell’anima.

Se le parole potessero bastare per rubare pochi attimi di felicità ne scriverei a iosa in tutti i luoghi possibili: sui muri delle città, sui social preferiti, sul mio telefonino. Parole dolci e tranquille che farei viaggiare con la forza dell’immaginazione per farle approdare nel cuore di chi non ha potuto o voluto ascoltarle.

Sceglierei le buone parole, carezze che il corpo non sa esprimere e che sono diverse da quelle belle ma vuote, pompose e apparenti. Le buone parole riscaldano l’anima, acquietano, confortano e trasmettono energia positiva.

Molto spesso, e di questi tempi soprattutto, imperversano parole dure, urlate, ingannevoli, che disorientano e non fanno ragionare. Parole cattive e gratuite che hanno la capacità di sostituire quelle non dette, quelle tanto attese e sottaciute perché si è preferito non guardarsi dentro lasciandosi scappare … l’attimo fuggente.

Carpe diem! Cogli il giorno!

Bisognerebbe riempire gli spazi che ci dividono con le buone parole, ripristinare la comunicazione interrotta da troppo tempo. Un black-out causato proprio dalla tecnologia sofisticata dell’informazione che molto toglie e nulla aggiunge alla cultura del sapere, alla crescita delle coscienze.

Tanto nelle relazioni personali quanto in quelle collettive manca spesso lo spirito costruttivo che dovrebbe guidare la buona conversazione, il piacere dello stare insieme come se ci si trovasse davanti ad uno specchio in cui ciascuno proietta nell'altro l’immagine buona di se stesso.

Carpe diem! Cogli il giorno!

Non ritardare un abbraccio che domani potrebbe non avere più lo stesso calore.

Ecco che allora il mio prossimo post sarà luminoso come il sole del primo mattino, radioso come il sorriso spontaneo di chi ti guarda senza giudicarti, colorato come i fiori vivaci di una primavera che sovrasta ogni altra stagione per rimanere attaccata alle pareti dell’anima.

Per sempre.


NON APRIRE QUELLA FINESTRA!

Avevo deciso di accoglierla in casa prima ancora che me lo domandasse. Così piccola e indifesa, era riuscita ad aprirmi il cuore come si fa con il lucchetto di un diario segreto in cui i pensieri, ben saldi e impressi sulle pagine, prendono a sprigionarsi nell'aria liberandosi di ogni remora.

Da quel giorno la mia vita ebbe finalmente uno scopo. Mi presi cura di lei come mai nessuno aveva fatto con me. Bella e delicata, la sentivo vicino anche quando dovevo allontanarmi da casa per andare al lavoro, sbrigare le solite faccende quotidiane, affrontare le ire del mio odioso capoufficio, percorrere chilometri e chilometri di asfalto mettendo a dura prova la mia impazienza per l’ennesimo semaforo rosso o per l’imbecille di turno che mi tagliava la strada.

Ma tutto questo era niente perché sapevo che c’era qualcuno che mi aspettava e che avrebbe raccolto i miei sfoghi con umana comprensione e affetto filiale. Lei mi sorrideva e mi accarezzava tutte le volte che aprivo la porta di casa e mi accasciavo esausto sul divano.

Mi allentavo la cravatta e iniziavo a parlare come un fiume in piena che trasborda gli argini senza incontrare più alcuna resistenza. Lei mi ascoltava in silenzio e mi alitava con il suo respiro fino ad inondarmi di calore e di pura energia.

Finiva sempre allo stesso modo: mi faceva l’amore con quella dolcezza che soltanto lei sapeva trovare e infondermi su tutto il mio corpo come la più consumata delle amanti. Poi mi sfiorava le palpebre ed io mi addormentavo sereno senza sentire più alcun dolore.

Ero felice come non lo ero mai stato prima di incontrarla.

La mattina mi svegliavo di buon grado e qualche volta mi permettevo persino di sorridere. Sotto la doccia mi capitava di intonare la mia canzone preferita e lei faceva altrettanto dalla cucina improvvisando un concerto a due voci che aleggiava nell’aria come un giorno di festa.

Poi avvenne quello che avrei dovuto temere e che invece avevo trascurato per la  mia ubriacante allegria.

Premetto che sono sempre stato attento ad aprire e chiudere le finestre per il tempo strettamente necessario al ricambio d’aria della casa. Soprattutto mi premunivo di farlo ad una certa ora lontano da occhi indiscreti e al riparo da cattive sorprese.

Quella sera avevo avuto la brillante idea di cucinare una bistecca ai ferri. Io, vegetariano da qualche mese, sono stato sopraffatto dai sapori della carne, una debolezza che mi è costata cara.

Lei mi girava intorno lasciandomi fare in quelle semplici operazioni culinarie senza proferire parola. Un silenzio che avrebbe dovuto insospettirmi se solo fossi stato più attento e prudente.

D’improvviso la bistecca ha preso fuoco e una nuvola di fumo si è propagata davanti a me annebbiandomi la vista. Ho aperto d’istinto la finestra e in un secondo si è consumato il dramma.

E’ stato in quel momento che l’ho vista passare sotto i miei occhi come un aereo che sfreccia nel cielo perdendosi nell'oscurità della notte.

La mia dolce capinera era volata via e non sarebbe più ritornata.

NON APRIRE QUELLA FINESTRA!

Racconto breve 
di

Vittoriano Borrelli

IL LATO OSCURO

Ognuno di noi ha un lato oscuro che si annida in qualche parte nascosta della propria anima. A volte invisibile, a volte no, ma quando si manifesta è preponderante, dominante, incalzante come la pressione sanguigna che trasforma le percezioni e tutto diventa rigenerativo o degenerativo.

Non si è mai buoni o cattivi fino in fondo, e del resto l’uno non c’è se non esiste l’altro. Sono connotazioni dell’essere contrapposte ma in un certo senso complementari tra loro, una sorta di dipendenza giustificativa del proprio rivelarsi in luogo dell’altra.

L'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.” Lo scriveva Robert Louis Stevenson nella sua opera più celebre Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, pubblicata nel 1886 con un successo senza precedenti nella storia della letteratura horror. Metaforica rappresentazione della doppia personalità che si manifesta o regredisce attraverso la pozione imbevuta dal protagonista per soppiantare la parte peggiore di sé.

Sulla scia di una corrente letteraria che predilige l’analisi (e la retro-analisi)  dell’animo umano ambiguo e distruttivo, l’opera di Stevenson anticipa il tema dello sdoppiamento che qualche anno più tardi (1890) il suo coevo Oscar Wilde riproporrà ne “Il ritratto di Dorian Gray”. Anche qui il patto con il diavolo suggellato dal protagonista farà emergere il lato oscuro della perdizione e dei facili costumi, l’eterna giovinezza in cambio dell’anima che Dorian vedrà imbruttirsi attraverso la deturpazione del suo ritratto.

Al di là dei corsi e ricorsi della letteratura, il lato oscuro è una costante che si rivela in tutte le forme possibili e in ogni tempo, passato, presente o futuro. In antropologia criminale sono note le due teorie contrapposte che assegnano ora alla componente genetica ora a quella ambientale l’origine del Male. Ma v’è anche una terza spiegazione che combina entrambi i fattori ed è forse la più plausibile.

Posto che ciascuno di noi è naturalmente predisposto al Bene o al Male, sono le componenti ambientali date dall'educazione ricevuta, dagli incontri e dalle relazioni che si allacciano ad orientare le scelte di vita facendo emergere la parte migliore o peggiore di se stessi.

Insomma, la naturale inclinazione ad assumere comportamenti positivi in luogo di quelli negativi (e viceversa) è più o meno marcata a seconda di ciò che ha rappresentato il proprio vissuto. E del resto non si può comprendere a fondo il benessere interiore e la beatitudine dei sensi se non si è provato dolore, ansia, sofferenza, sicché il lato oscuro emerge proprio dalle ferite che non si sono rimarginate.

Quelle ferite che non si vedono ma che fanno più male.


ABBI CURA DI TE

Abbi cura di te. Se la vita ti è stata ostile, non permettere che ti faccia più del male.” Gioacchino era in bagno a farsi la barba quando, d’improvviso, sentì una voce pronunciare queste parole. Chiuse il rubinetto per interrompere lo scroscio dell’acqua e tese le orecchie per capire da dove provenisse.

Niente! C’era un silenzio tombale. Sua moglie Morena era al lavoro e fuori la città sembrava deserta, nemmeno uno straccio di persona si aggirava nel parco di casa e la strada che fiancheggiava quei palazzoni del condominio era solo un manto grigio inesplorato.

Allora si convinse che quelle parole le avesse pronunciate lui inconsciamente, come gli capitava da un paio di mesi dopo aver perso il lavoro di dirigente in un’azienda ed essersi trovato con tanto tempo a disposizione per pensare. 

Abbi cura di te. Non lasciare che siano gli altri a decidere per te.”

Di nuovo quella voce. Gutturale, lamentosa, come un medium che dall'aldilà lanciava proclami inquietanti sulla vita del povero Gioacchino.

Si ricordò del decisionismo di Morena, una donna di ferro che aveva sposato per volere di sua madre, fortemente preoccupata del suo essere fragile e indifeso.

“Ora che sei senza lavoro ascolta bene quello che devi fare.”
“Sì.”
“Non mandare curriculum a destra e a manca. Nessuno ti prenderebbe mai. Sei troppo precisino, metodico, conservatore. La gente ha bisogno di brio, estro e improvvisazione. Quello che mi hai fatto leggere mette ansia e agitazione. Troppo formale e scontato, da cestinare solo leggendo le prime righe.”
“Sì.”
“Vai da Ignazio. E’ un mio caro amico. Ha un’impresa farmaceutica e sta cercando un rappresentante per promuovere un nuovo antidepressivo. Ma non presentarti con quella faccia che faresti venire l’ulcera solo a vederti.”
“Sì.”
“Fatti la barba, metti la crema per il viso per far sparire quelle zampe di gallina che ti sono spuntate.”
“Sì.”
“E poi il dentifricio. Ti ho comprato quello che fa smacchiare i denti rendendoli luminosi e brillanti. Sorridi. Inizia con questo esercizio: allarga e fai rilasciare le mascelle per venti volte di seguito. Ricorda: venti volte al mattino e venti volte alla sera prima di coricarti.”
“Sì.”
“Ignazio ti aspetta giovedì nel suo ufficio di via Colonna. Abbiamo ancora quattro giorni di tempo. Certo, a guardarti ci vorrebbe un miracolo. Ma ce la faremo. Ce la farai.”
“Sì.”
“Ora ascolta quello che devi dire. Ti presenti con un bel sorriso, ti dai un tono spuntando un bottone della giacca per tenere bene in vista il fermacravatte d’oro che ti ho regalato. Poi lo saluti con queste parole: ‘Buon giorno dott. Morosini, sono il marito di Morena e sono qui per quel posto. Non ho problemi a viaggiare, mi piace guidare, sono dinamico e intraprendente. Ho già fatto il rappresentante e so come convincere la gente.’ Soprattutto sorridi. E tanto.”
“Sì.”
“Devo andare adesso, sono maledettamente in ritardo. Hai caricato la lavatrice?”
“Sì.”
“ E il pane? L’hai tirato fuori dal freezer?”
“Sì.”
“Stasera mangiamo leggeri. Prepara un brodo vegetale con 100 grammi di pasta, una fetta di formaggio con un ciuffo d’insalata e un po’ di frutta.”
“Sì.”
“Ora devo proprio scappare. No, non baciarmi che mi rovini il trucco. E ricorda: fatti la barba e mettiti la crema.”
“Sì.”

Gioacchino uscì dal bagno tutto lindo e profumato. Andò in camera da letto, prese dall'armadio i suoi vestiti e li depose nella valigia. Chiamò il taxi che lo avrebbe portato all'aeroporto, si assicurò di avere il biglietto in tasca e uscì di casa.

Sul tavolo della cucina c’era un foglietto con queste parole: “Avrò cura di me.”


ABBI CURA DI TE

Racconto breve scritto da
Vittoriano Borrelli



(I riferimenti alla realtà sono puramente casuali)

QUEL GIORNO MALEDETTO

La Natura è cieca e beffarda. Al di là delle speculazioni edilizie e le urbanizzazioni selvagge, il sisma resta una delle catastrofi più terribili e fatali per come si manifesta, improvviso e implacabile.
Miete vittime innocenti e inconsapevoli e per loro scende la notte più lunga e tragica che non vedrà più la luce.

Corsi e ricorsi storici, il terremoto si presenta con una puntualità ciclica colpendo con una casualità disarmante che ricorda, per certi versi, la roulette russa. Qualcuno si salva, altri sono dilaniati da quel proiettile letale che è l’epicentro, sibilo che si sprigiona dalle viscere della Terra in un punto qualsiasi seminando morte e devastazione.

Nel 1980 (era il 23 novembre) ho vissuto personalmente l’esperienza del terremoto che sommerse al suolo ampie zone dell’irpinia e del napoletano. Allora scrissi una canzone, “Quel giorno maledetto” che desidero dedicare a tutte le vittime di questa catastrofe e in particolare alle popolazioni dell’Italia centrale colpite dal sisma del 24 agosto e poi costrette a subire altre repliche, tra le quali le più dure del 26 e 30 ottobre. A tutte loro il mio abbraccio e viva solidarietà.


Tanta gente per la strada in quel giorno maledetto
chi gridava chi pregava chi restava senza tetto
senza luce nella nebbia nella pace del torpore
tante voci lamentose invocavano il Signore

Mamma no non mi lasciare io sto bene tu come stai?
La bambina sta al sicuro non avere più paura
E' successo tutto all'improvviso senza l'ombra di un sorriso
Dammi la mano amico caro non piangere ti porterò lontano

E' una storia da inventare
un altro mondo da costruire
non è forza questo morire
qui da soli

Ai confini di un altro cielo
seguirai il tuo sentiero
Non è amore non è dolore
questa è solo una canzone

Tanta pioggia dentro l'anima mentre scivola una lacrima
ho perduto tutto quanto non mi resta che questo pianto
E' il telefono che squilla non tremare stai tranquilla
Ciao sorriso di un istante non è successo niente di importante

Cielo azzurro cielo grande cielo immenso senza fine 
forse anche tu sapevi ma morire non volevi
Si restava lì a parlare a inventarsi e a raccontarsi
Io domani sarò più buono chiederò a tutti perdono

E' una storia da inventare
un altro mondo da costruire
non è forza questo morire
qui da soli

Ai confini di un altro cielo
seguirai il tuo sentiero
Non è amore non è dolore
questa è solo una canzone


(Il testo della canzone è tratto da "Le parole del mio tempo")

IL VENTO E LA POLVERE

Le strade si popolano di venditori ambulanti che mostrano in bella vista mazzi di crisantemi, gladioli e orchidee per omaggiare il rito della commemorazione dei defunti. L’odore dei lumini aleggia nell'aria e si fa più intenso non appena si varca la soglia del cimitero per imboccare vialetti dai percorsi soliti e definiti.

Entro compunto e silenzioso nel giardino dei ricordi mescolandomi fra i visitatori che come l’altro anno sembrano aver conservato lo stesso sguardo di malinconica riverenza, pronti anche stavolta a rendere gli onori ai propri cari secondo un vecchio copione tramandato dal tempo.

Vado da mia madre. Sulla lapide sono incise le parole della canzone che avevo scritto per lei:

Mia madre ha gli occhi bagnati da un’eternità
e gli anni che sono passati son pieni di semplicità
E chiacchiera con una vicina
La senti cantare canzoni di ieri in cucina …”

Accanto a me una signora rivolge al suo caro estinto una preghiera tenendo tra le mani un rosario.

Mi vengono in mente gli anni trascorsi a Napoli. Lì la commemorazione dei defunti è qualcosa che va al di là del suo significato religioso. E’ un rito partecipato, colorito e a tratti folcloristico. Si parte la mattina presto con tutta la famiglia al seguito come se si dovesse andare ad una festa. Ci si veste al meglio per presentarsi ai propri cari al massimo dell’eleganza; qualcuno si porta dietro seggiole pieghevoli per sedersi davanti alla lapide e persino panini e bibite da consumare ad una certa ora, perché il “giro” è lungo e ci vuole una giornata intera per far visita a chi non c’è più.

Fuori dal cimitero, poco lontano, si vedono bancarelle con tanti dolci, palloncini e bambini con la faccia tuffata nello zucchero filato. Come una festa che anticipa i sapori del Natale.

Penso che il legame che si ha con chi ti ha tanto amato non si spezzi mai. E questo giorno serve solo a rinvigorirlo, a farlo uscire per un momento dal tuo cuore per condividerlo con gli altri: “corrispondenza di amorosi sensi”, scriveva Ugo Foscolo nel suo capolavoro Dei Sepolcri.

E’ un rito che dovrebbe farci sentire tutti uguali nell’animo anche se dall’esterno non appare così: tombe spoglie di fiori che si contrappongono a sontuose cappelle di famiglia quasi a rimarcare certe differenze che si sono ostentate in vita.  Ma qui c’è Totò che c’insegna con la sua magistrale ‘A livella:

Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive: nuje simmo serie... appartenimmo â morte!". 
(“Queste pagliacciate le fanno solo i vivi. Noi siamo seri … apparteniamo alla morte!”).

Sono pensieri che mi rinfrancano. Esco dal “mio” giardino dei ricordi avvolgendomi nel cappotto. L’aria pungente è un anticipo dell’inverno che verrà. 

Ascolto il vento che solleva la polvere.
E mi sembra già di sentirla addosso.

IL VENTO E LA POLVERE

di

Vittoriano Borrelli

I fatti narrati corrispondono ad esperienze vissute dall'autore.

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